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CRISTO E L'ADULTERA

Autore
Lotto Lorenzo 1480/ 1557

Tipo scheda
Beni Artistici (OA)

Tipo
dipinto

Descrizione

Lorenzo Lotto sceglie di discostarsi dalla consueta iconografia della rappresentazione dell’episodio evangelico (Giovanni 8, 1-6), soffermandosi sul momento di riflessione che precedette il celebre passo: «chi è senza peccato scagli la prima pietra». La donna discinta, colta in flagranza di adulterio, presa per i capelli viene condotta al cospetto di Cristo per disputare sulla pena della lapidazione imposta dalla legge di Mosè. Gesù al centro della composizione si esprime attraverso la propria ferma gestualità. La mano destra di Cristo, alzata, interdice l’arrogante vociferare umano, mentre pollice, indice e medio sollevati della sinistra rimandano alla Trinità, unica entità di misericordia cui spetta il giudizio. Fra gli astanti, a sinistra, è distinguibile, dai copricapi a cono e dall’accentuazione fisiognomica dei tratti somatici, un gruppo di scribi e farisei, fra i quali spicca un vecchio riccamente abbigliato, colto nel gesto della “disputatio”, ad elencare i tradimenti della donna. Quest’ultima, irradiata dal candore di luce che il pittore fa ricadere sugli incarnati, si mostra bella ed elegante, seppur visibilmente sofferente.

«Eravi la adultera condotta inanzi a Cristo»: queste le parole con cui Giorgio Vasari ha ricordato il dipinto nell’edizione giuntina delle Vite, edita a Firenze nel 1568. L’opera manoscritta “Le bellezze della felicissima città di Loreto” di Giovanni Cinelli Calvoli (1705) descrive la tela sopra la cattedra episcopale del coro, alla sommità centrale della Cappella dei Canonici della basilica lauretana a rappresentarne il fulcro interpretativo. Il dipinto - oggetto di riuso fra le invendute del 1550 e pur mantenendo i caratteri di un’opera da quadreria e di privata devozione - rappresenta nel contesto lauretano l’ideale cristiano dell’ottenimento del perdono e della miseria divina dopo la redenzione dal peccato. Le scelte operate da Lorenzo Lotto nell’orchestrazione del ciclo del coro, eseguito dall’artista tra ottobre 1554 e febbraio 1555 su commissione del governatore Gaspare Dotti, sono state rilette di recente in chiave interpretativa unitaria e controriformata, per cui gli ideali di conversione e penitenza continua sono suffragati dal clima introdotto a Loreto dall’insediamento della Compagnia di Gesù. La tela avrebbe quindi assunto i caratteri di richiamo continuo alla meditazione sul valore del pentimento umano e sul potere redentore di Cristo, giudice come giudice eletto era il vescovo deputato a sedere sullo scranno principale immediatamente sottostante il dipinto. Ascritta dalle fonti settecentesche a Cristoforo Roncalli, l’opera fu collocata intorno al 1779 - ove è stata inventariata nel 1789 - all’interno della Sala del Tesoro, detta appunto del Pomarancio per la monumentale decorazione prestata dal pittore a seguito del concorso indetto a Roma nel 1604. Interessata dalle requisizioni napoleoniche nel 1796, come ampia parte dell’Antico Tesoro, la tela è stata restituita nel 1824 e riunita agli altri dipinti del ciclo fra il 1853 e il 1855 nel Salone del braccio occidentale del Palazzo Apostolico, ivi visitata da Giovanni Battista Cavalcaselle e Giovanni Morelli nel 1861, unico dipinto a non ricevere il regio sigillo. La limitata fortuna ottocentesca del dipinto ebbe duraturi riverberi di critica, pressocché uniformemente basati sul paragone con l’analogo soggetto conservato al Louvre databile fra il 1527 e il 1529, meglio conservato e dai toni maggiormente vibranti. La critica ha altresì riconosciuto nella gestualità e teatralità dei personaggi, oltre che nell’invenzione delle figure compresse in primo piano, la ripresa di modelli leonardeschi e nordici, da Durer a Cranach. Note sui restauri: l’opera ha subito numerosi interventi di restauro, il primo, che ha probabilmente molto compromesso la leggibilità del dipinto, è documentato fra il 1850-1853 per mano di Presidio Giuliani pittore di Macerata. Un secondo intervento ottocentesco fu affidato al romano Giuseppe Missaghi nel 1883, unitamente alle altre tele lauretane. L’opera è stata quindi consegnata al Laboratorio dei Musei Vaticani e restaurata nel 1958, poi nuovamente a Urbino nel 1981 sotto la supervisione della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici delle Marche in occasione della mostra di Ancona “Lorenzo Lotto nelle Marche”. Grazie al restauro eseguito da Fabio Piacentini (2013) è riemersa la firma del dipinto “Laurent[ius] Lotus” nella sezione superiore destra, fugando definitivamente i reiterati dubbi sull’autografia dell’opera imputabili alla ridotta leggibilità antecedente l’intervento. Grazie alla ritrovata cromia - vedasi i toni di azzurro, di verde e di rosso - Antonio Paolucci ha offerto un’importante rilettura dell’opera, riconoscendo un probabile autoritratto dell’autore nell’anziano seminascosto, con gli occhiali in mano e lo sguardo meravigliato al di fuori della scena, intento a osservare l’angolo in cui ha apposto la firma. Ulteriori studi e indagini diagnostiche potrebbero verificare possibili relazioni fra i cammei istoriati nella cinta che regge la veste gialla dell’uomo a destra in primo piano e i cammei posseduti da Lotto.

Soggetto
Cristo e l'adultera

Datazione
sec. XVI 1546 1550 Motivo della datazione: documentazione

Materia e tecnica
tela/ pittura a olio

Misure
Unità=cm; Altezza=105;Lunghezza=132;

Localizzazione
(AN) Loreto

Collocazione
Palazzo Apostolico - Piazza della Madonna - Museo Antico Tesoro della Santa Casa di Loreto

Identificatore
11 - 00003152

Proprietà
proprietà Ente religioso cattolico