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Santa Maria del Suffragio


  • Indirizzo : - Piazza Cleofilo,s.n.c. (PU) FANO
  • Tel. : 338 7778091
    Fax :
  • Email : karlinobertini@gmail.com   
  • Sito web : http://www.confraternitadelsuffragio.org
  • Orario : Sabato dalle 17 alle 19 e Domenica dalle 9 alle 12
  • Ingresso : ingresso gratuito
  • Tipologia : Arte
  • Servizi : Visite guidate

  • La sede e le collezioni
  • Poche e spesso incerte le notizie sulla chiesa di Santa Maria del Suffragio, così chiamata dal 1618, quando vi fu istituita l’omonima Confraternita che ancora oggi qui ha sede. Eretta “in solo lateranensi”, come dichiara il rilievo lapideo con chiavi e ombrellino della facciata, probabilmente dopo la metà del secolo XV - il verticalismo dell’architettura denuncia il persistere  di simpatie tardogotiche -, la chiesa, dice il Vargas che di essa ha raccolto in un opuscolo le poche notizie archivistiche, si chiamò prima “della SS. Trinità, quando la ebbero le monache dell’Ordine di Sant’Agostino”, alle quali fu affidata nel 1513, poi “del Crocifisso”, per il trecentesco affresco absidale “che ab antiquo esiste e tuttora si venera”.

    Nel 1710, quando viene chiamato lo scultore Giuseppe Mazza a realizzare la grande Gloria dell’abside, la chiesa ha, oltre all’altare maggiore, altri quattro altari, due addossati alla parete sinistra, e due nelle cappelle del lato destro. Il lavoro del Mazza, eseguito in meno di sei mesi, comportò un ulteriore spostamento dell’affresco, che dalla posizione bassa già occupata - il deterioramento della pellicola cromatica nella zona inferiore dice chiaramente che essa si trova ad altezza di mano - fu sollevato all’altezza attuale, “coll’essersi prima bene incassato il muro senza che il dipinto ne soffrisse alcun guasto”, riferisce soddisfatto il Vergas. Nel 1807 la Confraternita dotò la chiesa di un organo, opera di Sebastiano Vici di Montecarotto (AN) e lo collocò nell’orchestra ch’era sopra l’ingresso. I bombardamenti dell’ultima guerra distrussero facciata e orchestra, ma l’organo si salvò, perché già ceduto alla parrocchia della vicina borgata di Caminate dove tuttora si trova.

    Opere

    La Crocifissione, opera di ignoto frescante marchigiano-romagnolo, databile al secolo XIV, è il dipinto più antico della chiesa del Suffragio e riconduce alle origini stesse della Chiesa. Iconograficamente l'artista propone lo schema più diffuso di crocifissione, quello in cui compaiono il Cristo crocifisso, i dolenti (la Vergine e l’Evangelista) e, inginocchiata ai piedi della croce, la Maddalena. Tre angioletti raccolgono, in volo, il sangue che esce dalle ferite di Cristo. Una raffigurazione che sottratta al tumulto di quanto di spettacolare c'è anche nella morte, individua nell'essenzialità di poche immagini quanto basta a far risuonare, nell’animo del credente, dolore, mistero, fede. Il frescante conosce, magari solo indirettamente, attraverso disegni, i modelli dell’Arena padovana, guarda ai riminesi come ai suoi prossimi e diretti maestri, e traduce in suo linguaggio immediato è popolaresco, ma non privo di efficacia e di vis drammatica, quanto ha potuto fare proprio del linguaggio di quei titani.

    La Gloria in stucco, con cui nel 1710 si è data sistemazione alla parete di fondo del presbiterio, è opera dello scultore Giuseppe Mazza (Bologna, 1653-1741). L'opera, grandiosa per dimensioni e suggestione scenografica, mostra l’Eterno Padre in gloria, giganteggiante, in uno squarcio di nubi, benedicente e paternamente poggiato sul globo terrestre. Esaltata dalla luce naturale di due finestre laterali nascoste all’osservatore, la figura sortisce risultati di straordinaria evidenza plastica. Sopra l'Eterno sta la simbolica colomba dello Spirito Santo. La soprelevazione dell'affresco ha raccordato quest'ultimo al grande stucco e l’intera parete è così diventata un trionfale inno alla Trinità. I due angeli in basso, controllati e composti - quello di sinistra reggeva un pane, quello di destra un calice -, sono i silenziosi testimoni di un’Eucaristia che, grazie al sacrificio della croce, è perenne presenza di Dio fra gli uomini.

    Alla parete sinistra erano addossati gli altari di Sant'Ignazio e della Madonna.  Oggi restano solo i dossali, ligneo il primo e lapideo il secondo, e i relativi dipinti. La tela con S. Ignazio di Loyola è del fanese Bartolomeo Giangolini (prima metà del secolo XVII) che fu allievo L. Carracci. Noto l'episodio: a Sant'Ignazio, fermatosi a pregare in una cappella mentre gli amici con cui è in viaggio sono già sulla strada per Roma, appare Cristo portacroce. È la visione che suggerirà al Santo di intitolare a Gesù il suo ordine, i Gesuiti. Sopra il dossale a colonnine corinzie e frontone spezzato, è collocato lo stemma dell'ordine gesuitico (IHS = iniziali greche del nome di Gesù entro ovale raggiante), stemma che S. Ignazio adottò, con la lieve modifica dell'ovale raggiante anziché del tondo, dal signum Christi di San Bernardino da Siena.

    Ben articolato e il messaggio affidato a secondo altare, dove rilievi e dipinto vivono in perfetta simbiosi. L'Annunciazione nei basamenti delle colonne, la tela con Vergine e Bambino in trono e le sante martiri Giustina da Padova ed Orsola, ed infine la cimasa  con la Vanitas (un putto che si diverte a far bolle di sapone seduto sopra un teschio) sono i passaggi di un discorso mirato, che invita a non ricercare onore e glorie terreni, effimeri e di breve durata, ma a spendere la propria vita per Cristo, come ha fatto la Vergine alla chiamata dell’Angelo e come hanno fatto le Sante proposte ad esempio, perché l'umana esistenza altro non è che una bolla di sapone. Un programma di vita da attuarsi alla luce di un perenne “memento mori”, monito, si direbbe, per giovani novizi ed educande, stanti gli esempi femminili proposti dal dipinto.

    Sul lato destro della chiesa vi sono le cappelle della Resurrezione e di San Francesco. La prima, ricca di stucchi con simboli della passione e raffigurazioni allegoriche di Virtù, adorna della bella tela con il Cristo Risorto. È un'ottima opera del pittore pistoiese Giacinto Geminiani (secolo XVII), il cui classico linguaggio chiaramente rinvia ai suoi modelli preferiti: Raffaello, Guercino, il Sassoferrato, i Carracci.

    Nella cappella di San Francesco, sopra l’altare, era esposto un S. Francesco orante, Opera di Girolamo Muziano (Brescia, 1528 - Roma, 1592) che oggi è custodita nella adiacente sacrestia dove può essere visitata a richiesta. La tela non è firmata né è certificata in alcun modo come opera di Muziano, ma ad assegnarla all'artista bresciano è, soprattutto, il raffronto con altre opere lasciate del pittore a Loreto, ad Orvieto, a Roma. “L'artista elabora e porta alla più equilibrate perfezione - dice l’Arcangeli - il tema del santo eremita immerso nel paesaggio”, definizione che parrebbe coniata proprio per il nostro dipinto, dove si raffigura il Santo orante in una grotta del Monte della Verna, dal cui antro lo sguardo si perde nella bella valle ricca di rimandi a chiese e campanili aretini.

    Degni di nota sono anche gli arredi, i paramenti, il coretto dei confratelli, conservati, unitamente a stampe e ad altri dipinti, nei locali adiacenti alla chiesa. Altrettanto meritevole di menzione è la biblioteca, nella quale numerose sono le opere pregevoli ivi conservate. 



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