Frutta, fiori, animali, bottiglie di vetro, strumenti musicali, libri, sono alcuni degli ‘oggetti in posa’ che compaiono più frequentemente come comprimari o come soggetti assoluti nelle rappresentazioni artistiche. La rappresentazione pittorica di gruppi di oggetti si definisce “natura morta”, locuzione che si adatta sia ai gruppi di oggetti inseriti in sacre rappresentazioni, in storie profane e in ritratti, sia alle composizioni in cui gli oggetti sono protagonisti assoluti delle opere.
Il termine compare nei trattati di pittura verso la metà del Settecento con una sfumatura quasi dispregiativa che contrapponeva la natura morta alla “natura viva” della pittura alta, di storia.
Anche negli altri stati europei, nello stesso periodo, si afferma la pittura di soggetti inanimati e si cercano nuove definizioni che inquadrino il genere specifico: nei paesi anglosassoni si usa il termine still life, in Germania stilleben, parole che indicano il carattere fermo del soggetto in opposizione con l’immagine della figura umana colta nella sua mutevolezza.
Nonostante la rappresentazione di oggetti sia sempre esistita nel panorama artistico, solo nel ‘600 la raffigurazione degli oggetti in pittura si definisce come genere, caricandosi di contenuti simbolici ed allegorici: la presenza di fiori recisi, frutta, selvaggina allude alla vanitas vanitatum (vanità delle vanità), alla brevità della bellezza e della vita. Esplicito richiamo a questi temi è la presenza del teschio, allusione al memento mori (“ricordati che devi morire”). Il più noto esempio di ‘natura morta’ è il Canestro di frutta di Caravaggio realizzato intorno al 1596 con molta probabilità per il cardinale Federigo Borromeo. E’ tuttavia nella seconda metà del Seicento che la produzione di nature morte trova grande stimolo per le richieste precise dei collezionisti che iniziarono a prediligere quadri di “zucche e prosciutti, rami, padelle, pentole e tappeti” come li definì con disprezzo il pittore Salvator Rosa. Da quel momento la natura morta diviene un terreno di esercitazioni ricche, artificiose e anche ripetitive.
Nelle Marche si possono rintracciare sia antesignani della natura morta, come le tarsie lignee dello studiolo di Urbino del 1476, sia esempi compiuti di tale genere, in cui si distinsero l’ascolana Giovanna Garzoni, caratterizzata dalla vivace curiosità per l’indagine naturalistica, e i fanesi Sebastiano Ceccarini e Carlo Magini, riconosciuto, quest’ultimo, come uno dei più grandi interpreti del genere. Oltre agli artisti marchigiani, le collezioni artistiche della regione si arricchirono di nature morte realizzate da pittori ‘forestieri’ come Giuseppe Recco della scuola napoletana, Agostino Verrocchi e Cristoforo Munari, pittore emiliano attivo fra Sei e Settecento.
Bibliografia
- A. Paolucci, Piero della Francesca, Cantini Editore, Firenze 1989
- A. Veca, Natura morta, Art dossier Giunti, Firenze 1990
- P. Zampetti, Carlo Magini, Cassa di Risparmio di Fano, 1990
- R. Battistini, B. Cleri, C. Giardini, E. Negro, N. Roio, L’anima e le cose. La natura morta nell’Italia pontificia nel XVII e XVIII secolo, Artioli Editore, Modena 2001
- P. Dal Poggetto, I Della Rovere: Piero della Francesca, Raffaello, Tiziano, Electa 2004