Cultura

Percorsi tematici > I "primi abitatori" delle Marche: la pre-protostoria

Il territorio marchigiano è solcato da numerosi corsi d’acqua disposti “a pettine”, da Est ad Ovest, le cui vallate, soprattutto nella porzione settentrionale della regione, hanno costantemente facilitato i contatti tra il versante adriatico e quello tirrenico: lungo le stesse si sviluppavano infatti i percorsi viarii che univano i due versanti sfruttando i valichi del Cornello, di Colfiorito, delle Fornaci. Grazie anche ad alcuni passi, la regione, favorita da condizioni geotopografiche ottimali, è stata frequentata ed abitata intensivamente fin da epoche molto remote. Le testimonianze di cultura materiale più antiche, attestate soprattutto nella porzione più settentrionale della regione e concentrate soprattutto nella bassa valle dell’Esino, cui si associano i ritrovamenti effettuati alla sommità del Conero, risalgono infatti al Paleolitico superiore (30.000 anni fa). Particolarmente significativi appaiono anche i rinvenimenti del territorio di Arcevia: assegnati ad epoca neolitica e rappresentati essenzialmente da strumenti ed utensili realizzati in selce, sono stati effettuati perlopiù nelle località Ponte di Pietra e Nidastore. Parimenti interessanti al riguardo, i rinvenimenti di materiale litico avvenuti nel comprensorio di Fossombrone e quelli di San Severino: fra questi emergono soprattutto elementi di risulta (nuclei e scarti) che hanno permesso di individuare nelle località Sant’Elena e Grotte di Sant’Eustachio, due probabili aree di lavorazione intensiva della selce medesima. Uno dei siti più interessanti della preistoria delle Marche è l’insediamento all’aperto di epoca neo-eneolitica (fra IV e III millennio a.C.) di Conelle, ancora in territorio arceviese, caratterizzato da un imponente fossato difensivo (lungo oltre 100 m, largo da 4 a 7 e profondo 8), posto in luce nel corso degli scavi svolti nel decennio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. All’abitato, del quale non  si conservano resti strutturali, sono riferiti numerosi ed anche peculiari manufatti soprattutto fittili, cui se ne associano altri, sia su osso e corno che, ben più numerosi e caratterizzati, litici (punte di lancia  e frecce), che, usati anche con finalità difensive, denotano del pari anche attività, piuttosto intense, di tipo venatorio. 

Assai di recente l’indagine dell’insediamento (e della necropoli ad esso correlata) individuato in località Fontenoce di Porto Recanati, appartenente al medesimo periodo, offre una conferma piena ed esplicita della consistente ed insistita presenza antropica in particolare in questo comparto territoriale; bisogna tuttavia sottolineare che, in generale, in tutto il territorio regionale, sono finora  documentate oltre 150 aree di rinvenimento risalenti a quest’epoca. 

Con la definizione “facies di Ripatransone” si indica un aspetto culturale che agli inizi dell’età del bronzo (XVIII sec. a.C.) si caratterizza per l’elaborazione di forme nonché per la  produzione di manufatti metallici (asce e pugnali), di elevatissime peculiarità tecniche. Significativa, al riguardo appare l’individuazione, ad Offida, di una probabile fonderia, assegnata alla stessa epoca, che ha restituito circa venti pani bronzei di forma circolare (150-700 gr.) ed una forma di fusione per asce. Il rinvenimento connota quindi questo comparto quale area ove, già in epoca così remota, si realizzano manufatti di notevole qualità. La medesima attività è ben documentata d’altro canto anche in uno degli insediamenti maggiormente strutturati e meglio indagati della regione, quello ubicato in località Fonte Marcosa di Moscosi di Cingoli, la cui frequentazione è documentata, ininterrottamente, dalle fasi centrali dell’età del bronzo (XV), fino ad almeno il VI-V sec. a. C. Dall’abitato provengono infatti un crogiolo (un secondo, simile a quello da Moscosi, è attestato  da una località, Caprile, ancora nei pressi di Cingoli) , valve di fusione cui si associa, prezioso quanto imprescindibile complemento, un pane, di forma lenticolare, di rame puro di ca. 400 gr. che conferma pienamente la pratica fusoria. Altri strumenti, quali vanghette e vomere di aratro, ottenuti da palchi e corna di cervidi, indiziano concretamente attività agricole e dunque uno sfruttamento più intensivo e consapevole del territorio. Altri insediamenti dell’età del bronzo medio (XVI-XIV sec. a.C.) caratterizzano anche il distretto settentrionale della regione, come documenta il sito di Cà Balzano (nella valle del Tarugo) che, sede di una stazione in cui si lavorava la selce sul finire dell’età eneolitica, è poi occupato stabilmente tra l’età del bronzo medio (XV sec.a.C.) e finale (XI-X sec. a. C.). 

Con l’età del Bronzo finale (XIII-XI sec. a.C.), a differenza di quanto si registra per gli abitati dell’area tirrenica, per quelli del settore adriatico, che occupano soltanto raramente aree sommitali ed hanno estensione assai limitata, si osserva un’occorrenza territoriale piuttosto rarefatta. Tuttavia notevole vitalità mostra il territorio facente capo al Conero, come testimoniano i rinvenimenti di Ancona, Numana, Osimo. Notevoli le indicazioni fornite dall’abitato indagato sul Colle dei Cappuccini la cui articolazione interna appare già ben riconoscibile (con spazi forse già deputati allo svolgimento di pratiche cultuali) e la cui continuità appare testimoniata molto a lungo; confronti stringenti tra le modalità di frequentazione di questo sito sono stati istituiti con l’abitato indagato brevemente ad Osimo, ove, oltre all’industria su osso, documentata ad Ancona e Moscosi, si associa anche il rinvenimento di crogioli, analogamente documentati ancora nell’abitato di Moscosi. 

A questa stessa epoca risalgono inoltre i contatti con l’area egea, come attestano i rinvenimenti di ceramica micenea sia in area costiera, ad Ancona e Monsampolo del Tronto, che a Tolentino, la cui ubicazione, in area più interna, apre nuove ed interessanti prospettive sui contatti fra di queste prime comunità con elementi di cultura greca già in epoca così remota.

Gli insediamenti di poco successivi si concentrano soprattutto nell’entroterra ed in particolare fra il corso del Misa e del Musone (Cortine di Fabriano, Monte Croce Guardia di Arcevia, Monte la Rossa di Serra S. Quirico). 

Con gli inizi dell’età del Ferro (X-IX sec.a.C.) cominciano a definirsi più nettamente i contorni della cultura picena ed il territorio inizia ad essere occupato in maniera più articolata. Fra gli insediamenti dell’età del Ferro bisogna certamente ricordare quello di Fermo (IX- fine VII sec. a.C.), per il quale, indagini recenti hanno evidenziato nell’area sommitale del colle resti riferiti con ogni probabilità all’abitato, testimoniato da nuclei di necropoli che ne evidenziano l’appartenenza agli aspetti culturali propri delle prime fasi della civiltà etrusca, solitamente richiamate dalla definizione di “villanoviano”. Sulla base di quanto restituito dalle sepolture rinvenute, fra i corredi delle quali emergono soprattutto i cinerari biconici, talvolta coperti da oggetti particolari, quali gli elmi in lamina di bronzo, allusivi al sesso ed al ruolo del defunto, Fermo si configura come vera e propria “isola culturale villanoviana” che mostra di recepire pienamente, talvolta rielaborandoli, influssi propri derivati dall’ambito etrusco meridionale e settentrionale (area bolognese). Il nucleo villanoviano di Fermo non è più documentato a partire dai decenni finali del VII  sec.a.C.  Resti di strutture insediative di tipo capannicolo  sono state molto di recente poste in luce a Matelica, ove, in corrispondenza di terrazzi alluvionali, lungo i corsi d’acqua o su pianori – perlopiù difesi naturalmente –  si è evidenziata l’esistenza, fra VIII e VII sec.a.C., di abitazioni di forma rettangolare allungata, quadrangolare o absidata, alcune delle quali sfruttate forse come deposito o deputate comunque all’immagazzinamento. Agli inizi del VII sec. a.C., si assiste all’affermazione, in gran parte della penisola, della fase “orientalizzante” caratterizzata da manufatti di importazione dall’area vicino orientale (Siria, Fenicia), o di imitazione degli stessi, che veicolano, come intuibile, anche modelli di comportamento improntati essenzialmente all’ostentazione di beni di prestigio e prontamente adottati dalle nascenti aristocrazie: in tal senso si giustifica la presenza di tombe a tumulo (che, come esemplificato più chiaramente da quelle di Fabriano, si rifanno a modelli di area etrusca) o comunque connotate da preziosi e ricercati oggetti di corredo (come rivelato dalle sepolture di Matelica) appartenenti a principes, personaggi di rango elevato che spesso derivano la propria ricchezza anche dal controllo di vie di passaggio obbligato. Gli oggetti restituiti da queste ricche tombe denunciano ancora le strette relazioni intrecciate con il versante tirrenico e dunque con la società etrusca (tombe di Belmonte). Nonostante le tombe attestino l’esistenza di un tessuto sociale già ben articolato, ancora scarni o non meglio definiti i resti attribuibili con sicurezza a strutture abitative che diventano invece più consistenti e pienamente percettibili a partire soprattutto da età arcaica (VI sec.a.C.). Resti attribuiti ad un insediamento con caratteristiche di tipo preurbano, inquadrato fra VII e VI sec.a.C., sono stati riconosciuti ed indagati  poco a N di Senigallia, in loc. Montedoro di Scapezzano; ubicato alla sommità di una modesta altura, si ritiene che l’insediamento potesse comunque assicurare il controllo di un possibile punto di approdo e, soprattutto, il flusso commerciale che presumibilmente interessava la valle del Cesano. Le strutture abitative, di tipo capannicolo,  sono anche in questo caso connotate da pianta rettangolare e coperture a doppio spiovente, forse completate, almeno in un caso da strutture aggiuntive forse sfruttate come  magazzino e da porre in relazione con i resti di una fornace tornata in luce in un’area immediatamente contigua. La presenza di altri resti di fornaci, seppure caratterizzate da strutture molto semplificate, concorre ad evidenziare l’importanza dell’insediamento, connotato da indubbie potenzialità produttive.

Fra VI e III sec. a.C. è documentato anche l’abitato individuato nell’area sommitale dell’altura ove sorge Pitino. Le abitazioni qui riconosciute erano caratterizzate da pianta rettangolare, con fondazioni in ciottoli fluviali, alzato in materiale deperibile (di cui nulla si è conservato), copertura realizzata con tegole e coppi; struttura simile caratterizzava le abitazioni messe in luce presso l’angolo nordorientale delle mura romana di Pesaro, in corrispondenza dell’argine di un tratto del fiume Foglia: in tal caso, tra l’altro, le occorrenze, piuttosto cospicue di ceramica greca, evidentemente di importazione, assicura lo svolgimento, piuttosto attivo, di insistite pratiche commerciali. 

In età storica, il settore settentrionale della regione, i cui confini sia settentrionali che meridionali non coincidono con quelli attuali, sarà occupato dagli Umbri e da una consistente comunità di origine celtica; quello più meridionale, che giunge a ricomprendere anche una porzione di territorio, piuttosto ampia, posta ora oltre gli attuali confini abruzzesi, vedrà invece l’affermazione ancora più decisa degli insediamenti piceni.

Bibliografia

D.G. Lollini, La civiltà Picena, in "Popoli e Civiltà dell’Italia antica", V, 1975.

Eroi e regine, Catalogo della mostra, Roma 2000

La civiltà dei Piceni nei musei archeologici di Marche e Abruzzo, Ascoli Piceno, 2000

Legenda

Sede museale
Museo Archeologico “A. Vernarecci” - FOSSOMBRONE
 
Museo Archeologico Statale di Arcevia - ARCEVIA
 
Museo Archeologico Nazionale delle Marche - ANCONA
 
Museo Archeologico Statale di Cingoli - CINGOLI


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