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Un letterato provenzale del XV secolo alla scoperta del territorio e delle leggende della Sibilla dell’Appennino

Dopo esser stato uomo d’armi, Antoine de La Sale (1386-1460 ca.), divenuto oramai un letterato della corte di Giovanni di Calabria, figlio maggiore di Renato d’Angiò, re di Sicilia, promette alla suocera del suo sovrano, Agnese di Borbone, di redigere per lei un “ritratto” dei monti della Sibilla e di Pilato, situati al centro dell’Appennino. Questi luoghi erano evidentemente divenuti famosi nella cultura cortese internazionale, grazie alle leggende raccontate da numerosi cantastorie. Lo stesso Antoine de La Sale, incuriosito da tali avventurose narrazioni, aveva infatti visitato la catena montuosa centro italica nel 1420. Il resoconto del suo viaggio, scritto tra il 1437 e il 1442, è contenuto nel testo Le Paradis de la Reine Sibylle, conservato in un esemplare manoscritto e miniato al Musée Condé di Chantilly (Ms. 653).

Prima di arrivare alla descrizione del “paradiso” della Sibilla (che nel Medioevo ha dato il nome a quelli che ancora oggi chiamiamo Monte Sibilla e catena dei Monti Sibillini), Antoine racconta la leggenda del lago di Pilato, secondo la quale il corpo del procuratore romano, lasciato in balia della sorte su un carro trainato da bufali, sarebbe scomparso nelle viscere lacustri. Il testo prende poi l’aspetto di una vera e propria guida “globale” del territorio sibillino, nella quale si accumulano precisazioni di vario tipo, da quelle botaniche, con la descrizione (e la rappresentazione miniata) di due piante tipiche (il “pollibastro” e il “centifoglia”), a quelle topografiche, con l’indicazione delle distanze da percorrere e la direzione da prendere. 

Sulla Sibilla in realtà de La Sale ha solo informazioni di seconda mano: i racconti degli abitanti del luogo. Un prete di Montemonaco, Antonio Fumato, personaggio soggetto alla luna, a sogni ed allucinazioni, gli dice d’aver accompagnato due cavalieri tedeschi dentro la grotta. Chi vuole arrivare alla Sibilla deve superare pericolose prove che marcano quasi un percorso iniziatico. Dopo spaventose folate di vento, si avanza fino ad incontrare un secondo scompigliante ostacolo, rappresentato da un lunghissimo ponte, largo solo un piede, al di sotto del quale si apre una voragine da cui risale il rumore di un fiume fragoroso. Se, con temerarietà, si mette un piede su quel ponte, esso si allarga e diviene all’improvviso praticabile, il precipizio diminuisce ed il frastuono dell’acqua scompare. Oltrepassato il ponte si scoprono due dragoni superbamente scolpiti, i cui occhi funzionano come fari che illuminano l’ambiente. Ma l’ultima spaventosa prova da superare sono due battenti di porta che sbattono in continuazione l’uno contro l’altro e paiono voler schiacciare chiunque desideri tentare di entrare. Il prete racconta che i due tedeschi ebbero la fermezza di proseguire e di entrare nel regno sibillino. Egli invece li aspettò invano davanti alla porta, perdendo la cognizione del tempo, e poi tornò indietro.

Dal sentito dire della gente di Montemonaco, Antoine de La Sale riferisce l’avventura di un altro cavaliere tedesco che, col suo scudiero, superò l’ultima prova entrando nel paradiso della regina Sibilla. Gli abitanti di quel luogo, una schiera di ragazzi e damigelle nel fiore della bellezza giovanile, parlano tutte le lingue del mondo e ogni nuovo arrivato può acquisire la stessa facoltà dopo trecento giorni di permanenza, e solo dopo nove giorni riesce comunque a comprenderle tutte. Questa situazione edenica e prebabilonica è bloccata in una rigogliosa vita in cui sono banditi la vecchiaia e il dolore e che, spiega la Sibilla, terminerà solo nel giorno del Giudizio. Chi vi entra, chiarisce ancora la regina, può andarsene dopo l’ottavo giorno, dopo il trentesimo o dopo il trecentotrentesimo; superata questa soglia temporale sarà impossibile tornare indietro.

Il cavaliere tedesco s’accorge di essere in realtà dentro un inferno quando, nella mezzanotte del venerdì, tutte le donne, compresa la regina, si trasformano in rettili orripilanti, restando tali fino alla mezzanotte del sabato seguente. Per non correre il rischio della dannazione eterna, allo scadere del trecentotrentesimo giorno, il cavaliere tedesco e il suo scudiero decidono di lasciare quel paradiso e di recarsi dal papa per chiedere il perdono. Il pontefice nega in un primo momento l’assoluzione per far capire al tedesco la gravità di quelle colpe, che avrebbe poi rimesso in un secondo tempo. Il tedesco, credendo oramai di aver perduto l’anima, decise almeno di salvare il corpo, ritornando nell’antro paradisiaco della Sibilla dell’Appennino.

Anche se queste leggende non hanno un esito iconografico, nel territorio appenninico ci sono moltissime raffigurazioni di sibille, come ad esempio nei musei di Visso, di Monterubbiano, di Monte San Martino, nella chiesa di Santa Maria in Pantano a Montegallo e nel santuario della Madonna dell’Ambro.

 

BIBLOGRAFIA

- Edizione di riferimento: A. de la Sale, Le Paradis de la Reine Sibylle, a cura di F. Desonay, Paris 1930.

- Traduzioni italiane: A. de la Sale, Il Paradiso della Regina Sibilla, a cura di M. Montesano, San Benedetto del Tronto 1993 e A. de la Sale, Il Paradiso della Regina Sibilla, a cura di P. Romagnoli, Verbania 2001. 

- F. Allevi, Del “Venusberg” umbro-piceno o negli spazi della sibilla appenninica, in Id., Con Dante e la Sibilla ed altri (dagli antichi al volgare), Milano 1965, pp. 9-132.

- I. Chirassi Colombo, Un pellegrinaggio del fantastico: itinerario al regno di Sibylla, in B. Cleri (a cura di), Homo Viator nella fede, nella cultura, nella storia (Atti del convegno 18-19 ottobre 1996 Abbazia di Chiaravalle di Fiastra, Tolentino (MC), Italia), Urbino 1997, pp. 37-64.

- D. Böhler-Regnier, La sibylle dans la Salade d’Antoine de la Sale: la reine souterraine au cœur d’un traité didactique. Enquête sur l’imaginaire de la figure séductrice et satanique au XVe siècle en milieu princier, in Sibille e linguaggi oracolari. Mito Storia Tradizione. Atti del convegno internazionale di studi (Macerata-Norcia 20-24 Settembre 1994), a cura di I. Chirassi Colombo - T. Seppilli, Pisa-Roma 1998, pp. 673-693.

- I. Chirassi Colombo, Storia di una fata. La Sibilla gelosa di Maria, in, Il santuario dell’Ambro e l’area dei sibillini. Atti del convegno di studi (Santuario dell’Ambro, 8-9 giugno 2001), a cura di G. Avarucci, Ancona 2002, pp. 505-561.




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