Cultura

Itinerari culturali > Il Seicento nelle Marche

Nelle Marche la geografia e la storia hanno disegnato una realtà complessa e articolata. Le caratteristiche orografiche del territorio, la secolare frantumazione del potere politico in piccole autonomie, la mancanza di un centro in grado di svolgere un efficace ruolo aggregativo hanno dato origine ad una situazione culturalmente composita, che trova nel XVII secolo la sua massima affermazione e la sua più peculiare caratterizzazione. 

Con la morte di Francesco Maria II della Rovere e la devoluzione del Ducato di Urbino al pontefice Urbano VIII, termina in chiave malinconica l'ultimo capitolo di autonomia: mentre le Marche si compongono per la prima volta entro un sistema politico unitario, paradossalmente si conferma e si approfondisce quel pluralismo culturale, destinato a diventare, fino ai nostri giorni, la cifra identificativa di questa regione. 

Il linguaggio figurativo, dominato tra la fine del sec. XVI e gli inizi del XVII dall'arte grande e solitaria di Federico Barocci, ultimo cantore della civiltà urbinate, si scompone in una pluralità di accenti e di indirizzi, dando origine ad uno scenario ricco e composito, spesso legato alla committenza dei grandi ordini religiosi, Gesuiti ed Oratoriani in particolare, artefici del rinnovato clima spirituale della Controriforma, attraverso la decorazione artistica, approntata sugli altari delle chiese. Il Seicento marchigiano accoglie voci e presenze diverse, per lo più di provenienza esterna, riferiti alla grande tradizione romana (Andrea Sacchi, Baciccia, Giacinto Brandi, Giacinto Gimignani), ed alla corrente del classicismo bolognese (Carracci, Domenichino, Guido Reni, Lanfranco e Guercino), che nelle Marche del XVII secolo rappresenta la linea vincente. Accanto a questi due filoni egemoni ed in parte derivati da quelli, si collocano alcune personalità artistiche locali: Simone Cantarini, Domenico e Giovanni Peruzzini, Giovan Giacomo Pandolfi, Giovan Francesco Guerrieri (solo per citarne alcuni), divenuti recentemente oggetto di attenzione e di recupero critico.

Particolare considerazione merita in questa schiera la figura e l'opera di Giovan Francesco Guerrieri, cui va riconosciuto il ruolo d’interprete marchigiano del naturalismo caravaggesco, attraverso la mediazione - più morbida ed assorta - diffusa nelle Marche dal pittore pisano Orazio Gentileschi. A completare poi questa sommaria ricomposizione del quadro artistico marchigiano del '600, vanno individuati ancora due fenomeni: da una parte la regressiva presenza della grande tradizione figurativa veneta nelle Marche, che aveva conosciuto nel Quattrocento e nel Cinquecento momenti di incontrastata leadership artistica. Ultimo epigono è nelle Marche Claudio Ridolfi, pittore veronese naturalizzato marchigiano, delicato interprete di suggestive atmosfere baroccesche sostanziate da una persistente maniera veneta.

C'è poi un capitolo tutto particolare, che è quello della cosiddetta ‘diaspora’ degli artisti marchigiani, transfughi dalla loro terra d'origine, diretti per lo più verso la capitale pontificia dove maggiori sarebbero stati potere, denaro e gratificazione mondana e culturale. Si tratta di artisti quali Giovan Battista Salvi, detto il Sassoferrato, artefice di limpide, arcaicizzanti Madonne, Giovanna Garzoni, pittrice e miniatrice ascolana, contesa dalle più raffinate corti italiane, i pittori Ghezzi (Giuseppe ed il figlio Pier Leone), originari anch'essi dell' Ascolano, esponenti di spicco della vita culturale ed artistica romana tra ‘600 e ‘700. 

E infine Carlo Maratta, nativo di Camerano, presso Ancona, pittore ricercatissimo e protagonista indiscusso delle scelte culturali a Roma, dove esercitò, con l'autorità riconosciutagli dalla committenza, il duplice ruolo di artista e di arbitro delle scelte figurative del suo tempo. Il suo linguaggio, calibrata fusione di dinamismi barocchi e armonie classicheggianti, ha avuto per la nostra regione un'importanza fondamentale nel ricomporre, a chiusura di secolo, il variegato scenario artistico entro una univocità espressiva: il segno marattesco, portato avanti da una fitta schiera di allievi, interpreti ed emulatori, troverà nelle Marche una grande fortuna, destinata a perdurare fino alle soglie del neoclassicismo.

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Urbania   Urbino



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