L'influenza della pittura di Giotto nelle Marche
Anche se Giotto non si recò mai nelle Marche, la decorazione da lui compiuta nella Basilica di Assisi e, soprattutto, la sua presenza a Rimini, dove fu impegnato al perduto ciclo pittorico della Chiesa di San Francesco, oggi nota come Tempio Malatestiano, condizionarono in maniera determinante le scelte dei pittori che operarono nella regione sin dal principio del Trecento.
I modelli figurativi giotteschi penetrarono nelle Marche anche grazie agli ordini religiosi, in particolar modo i francescani e gli agostiniani, che si fecero promotori di nuove importanti imprese artistiche, esemplate sui capolavori realizzati dal maestro fiorentino nelle regioni limitrofe.
Il bellissimo Crocifisso, dipinto da Giotto nel 1300 circa per la chiesa francescana di Rimini e tuttora conservato nel Tempio Malatestiano, divenne ineguagliabile modello di riferimento per un'intera generazione di seguaci attivi nelle Marche.
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Si può parlare di una pittura riminese le cui prime testimonianze nella regione risalgono al primo decennio del secolo e riguardano due aree poste entrambe nella zona settentrionale delle Marche: il Montefeltro - dove nel 1300 giunse la più antica Croce dipinta da Giovanni da Rimini per gli Eremitani di Poggiolo, l'attuale Talamello - e Massa Trabaria, attuale Mercatello sul Metauro, dove per la Chiesa di San Francesco lo stesso Giovanni realizzò un altro Crocifisso. Ad Urbania fu invece attivo il fratello di Giovanni, Giuliano da Rimini, che realizzò la Madonna con Bambino in trono per l'Oratorio del Carmine.
Le personalità dei due fratelli sono state più volte confuse e riassorbite, come confermano, pure, le oscillazioni critiche che assegnano ora all'uno, ora all'altro i programmi decorativi della chiesa francescana di Fermo e di San Marco a Jesi.
Nell'area più interna della regione, la pittura marchigiana mostra di essere influenzata dalle opere giottesche di Assisi e Padova, per poi rivolgersi alla produzione umbro toscana dei Lorenzetti, filtrata da alcune personalità di confine come Mello da Gubbio, che dipinse il suo capolavoro nella Chiesa di San Francesco a Cagli.
Discorso a parte merita Pietro da Rimini, già per il solo fatto di essere stato riconosciuto quale protagonista dell'impresa pittorica cardine della regione, vale a dire il complesso figurativo del Cappellone di San Nicola a Tolentino raffigurante un Ciclo mariano cristologico e le Storie del Santo.
Dall'epicentro di Tolentino emerse, inoltre, una matrice pittorica locale nell'ambito della quale deve essere ascritta la vicenda del Maestro dell'Incoronazione di Urbino che trae il suo nome dal polittico eponimo della Galleria Nazionale delle Marche. Questo artista condivide con il Maestro di Sant'Emiliano, cosiddetto dall'affresco proveniente dall'omonima badia e attualmente conservato presso la Pinacoteca Civica Bruno Molajoli di Fabriano, suggestioni provenienti dalla cultura figurativa dell'Umbria meridionale e una rilettura, in chiave plastico volumetrica, della pittura riminese di prima generazione.
La componente umbra giunse nelle Marche anche in versione tosco-lorenzettiana, contribuendo alla formazione di un'ulteriore lettera pittorica della quale è interessante interprete il Maestro di Monte Martello, che prende il nome dalla località dove si trova la Chiesa di Santa Maria delle Stelle da lui decorata. Nel catalogo delle sue opere rientrano, inoltre, i murali della Chiesa della Misericordia, di San Francesco e di San Giovanni Battista nella vicina Cagli.
La cultura senese assisiate è introdotta anche per altre vie dal catalano Maestro dell'Incoronazione di Bellpuig, così chiamato dalla tavola conservata nella chiesa di Bell Puig, in Catalogna, andata distrutta durante la guerra civile spagnola, che, affine a Ferrer Bassa, realizza gli affreschi del coro del San Domenico di Urbino, staccati ed esposti nel Palazzo Ducale di Urbino, e il Crocifisso del Convento del Beato Sante presso Mombaroccio.
Ambrogio Lorenzetti è un parallelo significativo anche per il milieu fabrianese e in particolare per il Maestro di Campodonico, attivo intorno alla metà del quinto decennio del secolo e noto per il suo linguaggio fortemente espressivo. Egli trae la sua denominazione dalla località montana del fabrianese, per la quale dipinse alcuni affreschi che, strappati, sono stati trasferiti nella Galleria Nazionale delle Marche. Un linguaggio guizzante e umanamente giottesco ha indotto parte della critica a rintracciare nella formazione di questo pittore, oltre alle esperienze assisiati, il contributo di un filone marchigiano che fa capo al Maestro di Sant'Emiliano.
Un discorso a parte merita Allegretto Nuzi, caposcuola della grande stagione artistica fabrianese alla fine del Trecento. Il pittore, dopo aver studiato a Firenze, rientrò in città e, nonostante la brevità della trasferta toscana, dimostrò di aver assorbito a tal punto il giottismo di Maso di Banco e dell'Orcagna da trasformarlo in componente costitutiva del suo linguaggio stilistico. Egli continuò a manifestare tale propensione nell'arco di tutta la carriera, anche quando la sua arte iniziò ad aprirsi a fermenti settentrionali - come ad esempio alla lezione di Giovanni da Milano - per i quali sono stati ipotizzati viaggi in Veneto.
Infine Francescuccio Ghissi, pittore più debole rispetto ad Allegretto, descritto dalla critica come suo aiuto non sempre di grande efficacia. I dati che ne documentano l'esistenza sono abbastanza cospicui a partire da una testimonianza che lo ricorda a Perugia nel 1389, sino alle tre firme apposte in altrettante opere aventi come soggetto iconografico la Madonna dell'Umiltà.
Il vuoto di presenze carismatiche, dopo Allegretto, segnò la fine della scuola riminese trecentesca e fece posto ad una cultura figurativa di importazione nordica che sedimentò negli anni il sostrato culturale per l'affermazione del tardo gotico.