Cultura

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CORNICE

Tipo scheda
Beni Artistici (OA)

Tipo
cornice

Descrizione

La scelta di una cornice a timpano triangolare costituisce una ripresa da esempi classici nello stile e rimanda ai tabernacoli del Quattrocento probabilmente con la finalità d’instaurare una sintonia tra la struttura lignea e le architetture romane della parte alta del dipinto. Secondo il modello originario indicato da Lorenzo Lotto a Bartolomeo Bartoli di Cristoforo da Bergamo la cornice doveva essere prevalentemente senza intagli, ad esclusione delle due colonne con capitelli laterali. Nella trabeazione si trovano due angeli che reggono il cartiglio con la citazione tratta dal Profeta Gioele “Parce populo” mentre hanno lo sguardo rivolto ai tre cherubini rappresentati nel timpano. La parte bassa della cornice riproduce immagini legate al tema della penitenza, oggetti liturgici e simboli sacramentali.

Il ritrovamento di questa cornice intagliata, dorata e dipinta, avvenuto nel 1982, è stato reso noto a stampa da Michelangelo Muraro nel 1984 in «Notizie da Palazzo Albani» (a. XIII, n. 1, pp. 144-164). Successive indagini hanno consentito di rintracciare gli atti del Consiglio di Credenza del 1720 attestanti il donativo dell’ornato alla compagnia del Crocifisso, eretta nell’omonima chiesa, come altresì ricordato negli scritti di memoria locale di monsignor Annibale Ferretti (1952). In sostituzione dell’apparato cinquecentesco la chiesa di Santa Maria veniva dotata di un ornato nuovo, di gusto tardobarocco, in linea con il carattere monumentale del riedificato altare culminante a baldacchino. La cornice cinquecentesca, poco riconoscibile perché fortemente ridipinta a finto marmorino, fu restituita a buona leggibilità grazie all’accurata pulitura che ne ha fatto emergere i tratti originali, l’articolazione in scomparti, in parte dorati e in parte dipinti, e le iscrizioni, fra cui quella centrale dedicatoria e datata. Le opinioni degli studiosi che si sono interessati al manufatto restano a tutt’oggi divergenti su più questioni di critica, sia in merito alla fattura, sia circa la datazione delle parti dipinte e il rapporto prossemico tra la cornice e la pala lottesca. La fattura della carpenteria è prevalentemente assegnata al maestro intagliatore Bartolomeo Bartoli di Cristoforo da Bergamo, citato espressamente quale esecutore di questo ornato dallo stesso Lorenzo Lotto nel “Libro di spese diverse” (c. 18r). Ileana Chiappini di Sorio ha proposto di ascrivere la progettualità, e dunque il disegno, a Giovanni del Coro, architetto e maestro del legno documentato a Venezia in relazione al pagamento del primo febbraio del 1948 (c. 62v). L’ipotesi non trova tuttavia riscontro nell’annotazione vergata nel “Libro di spese diverse” «secondo un disegno che jo li ho dato et misurato» (c. 18r), la quale rimanderebbe a studi su Lotto disegnatore di architetture lignee già suggeriti da Murato. Lo slancio verticale che accompagna la lettura dell’opera appare in sintesi compatibile con un intervento diretto del maestro veneziano, quantomeno nella delineazione dei profili architettonici, cui convergono Mauro Lucco e Maddalena Trionfi Honorati. Seri dubbi interpretativi sono posti dalla datazione e dall’attribuzione delle parti dipinte. Le indagini di Michelangelo Murato prima, Loretta Mozzoni e Gloriano Paoletti poi, hanno proposto una lettura antieretica degli oggetti liturgici e degli idiomi sacramentali inseriti nella parte bassa della cornice in chiave controriformata, suggerendo di riscontrarvi la mano di Lotto, di certo non nuovo ad allegorie complesse. Diversamente, Mauro Lucco (2001) ha mostrato serie perplessità circa la proposta di un netto rimando semantico fra la pala e l’apparato originario, avanzando l’ipotesi di differenti momenti esecutivi, come dimostrerebbero le indagini riflettografiche condotte sotto la supervisione dello stesso studioso e di Giovanni Carlo Federico Villa (Mauro Lucco, in Marta Paraventi 2003, pp. 57-77). Lo stesso Mauro Lucco ha tuttavia correttamente letto le assonanze pienamente lottesche tra i cherubini rappresentati sulla sommità del timpano e i cosiddetti pelatini effigiati nella cimasa della pala dell’Alabarda di Ancona, sui quali non sono mai stati mossi dubbi di autografia. L’insieme delle parti dipinte è connotato da differenti raggiungimenti qualitativi e dall’impiego di diverse tecniche artistiche; tali elementi non consentono ad oggi di giungere a considerazioni convincenti e risolutive, neanche ipotizzando la partecipazione di aiuti, fra i quali, in primis, Durante Nobili da Caldarola incaricato della posa in loco. Note sui restauri: il 19 febbraio 1982 la cornice veniva ritirata dalla Soprintendenza di Urbino per dare seguito al restauro affidato a Giuliano Rettori. Terminati i lavori l’Ufficio centrale per i beni architettonici del Ministero, competente sul bene monumentale ospitante, non autorizzò il ricongiungimento della cornice alla tela di originaria pertinenza, né la diversa collocazione dell’apparato settecentesco. Dopo anni di permanenza in deposito presso l’allora Soprintendenza di Urbino, il 27 luglio del 1997 l’apparato ligneo veniva riconsegnato alla chiesa di Santa Maria di Piazza, ove permase in sagrestia in attesa di essere ricongiunto nel 2001 alla pala di pertinenza.

Datazione
sec. XVI 1548 1548 Motivo della datazione: documentazione

Materia e tecnica
legno/ intaglio/ pittura/ doratura

Misure
Unità=cm; Altezza=525;Lunghezza=325;

Localizzazione
(MC) Mogliano

Collocazione
MASM Museo Arte Sacra di Mogliano - Vicolo Boninfanti

Identificatore
11 - 00374041

Proprietà
detenzione Ente pubblico territoriale