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Percorsi tematici > L'iconografia di Santa Lucia nelle Marche

Per motivi che ancora attendono di essere capiti fino in fondo, Santa Lucia riscuote tra il XIV e il XVII secolo una fortuna straordinaria nelle Marche e in tutto il bacino dell’Adriatico. La santa viene rappresentata non solo come immagine isolata, in sculture o all’interno di polittici e pale d’altare, ma spesso le sue storie vengono messe in scena in grandi cicli di affreschi e in pale d’altare a lei interamente dedicati.

Le vicende della vita della santa sono efficacemente sintetizzate nella Legenda aurea scritta alla fine del XIII secolo dal domenicano Jacopo da Varazze. La fanciulla siracusana, di agiata famiglia, si reca con la madre Euticia, ammalata di perdite di sangue, alla tomba di Sant’Agata a Catania per chiedere la guarigione dalla malattia. Mentre Euticia prega, Lucia si addormenta ricevendo in sogno da Sant’Agata l’annuncio che la madre guarirà proprio per le sue preghiere. La fanciulla decide allora di donare la sua dote ai poveri, rinunciando per sempre al matrimonio programmato con un giovane patrizio. Quest’ultimo, indignato, porta Lucia davanti al tribunale, ove Pascasio la giudica colpevole, per la sua ostinazione a voler rimanere vergine. A questo punto inizia per lei una serie infinita di supplizi: si tenta di portare la fanciulla al lupanare, ma nessuno riesce a trascinarla; si decide allora di farla tirare da una schiera di buoi, ma l’iniziativa fallisce; col sospetto che la donna fosse divenuta immobile grazie ad un suo malefizio, si cerca di sciogliere l’incantesimo versandole addosso delle urine; poi i manigoldi tentano di ucciderla conficcandole un pugnale nel collo e mettendola dentro un rogo, ma Lucia muore solo a seguito della decapitazione.

L’accecamento di Lucia, da cui deriva uno dei suoi più importanti attributi, cioè il piattino con gli occhi, non è citato nella Legenda aurea, ma deriva da un’altra fonte, secondo la quale sarebbe stata la stessa Lucia a strapparsi i bulbi oculari, perché non voleva che il suo promesso sposo continuasse a cercare il suo seducente sguardo. Gli occhi cavati e messi su un vassoio sono massimamente evidenziati nella scultura lignea conservata nel Museo Diocesano di Camerino. Un altro attributo tipico di Santa Lucia è la lampada o la lucerna: Lucia, anche in Jacopo da Varazze, viene difatti identificata con la luce, cui rimanda il suo stesso nome. In uno degli scomparti del Polittico di Antonio e Bartolomeo Vivarini, conservato nella Pinacoteca Parrocchiale di Corridonia (MC), Santa Lucia è appunto raffigurata con la palma del martirio ed una lampada di vetro, attraverso il quale si scorge una vivida fiamma. Il meno usuale martirio del rogo è invece utilizzato da Giovan Francesco Guerrieri nella tela cinquecentesca conservata nel Museo di San Francesco a Mercatello sul Metauro (PU).

Nei cicli che raccontano le sue storie, la santa siracusana diviene la pregnante incarnazione dei valori del perfetto cristiano,  mediante il suo esempio si elogia la verginità, come uno stato di gran lunga superiore al matrimonio, si disprezzano i beni terreni e si esalta la fede che diviene incrollabile proprio perché pubblica. Nelle Marche a Santa Lucia è precocemente dedicato, nel XIV secolo, un ciclo di dipinti murali in una delle absidi laterali della chiesa di Santa Maria della Rocca ad Offida. Il maestro, di cui non conosciamo l’identità, dipinge vivacemente l’epopea della santa concentrando il suo interesse sui dettagli delle vesti e sulle espressioni dei volti dei personaggi fortemente caratterizzati. Dopo questo “incunabolo” iconografico, tra XV e XVI secolo, le storie di Santa Lucia vengono dipinte per le Marche da tre pittori veneti: Jacobello del Fiore, Lorenzo Lotto, Pasqualino Rossi.

Del Polittico di Santa Lucia della Pinacoteca Comunale di Fermo, realizzato da Jacobello del Fiore, restano solo le otto storielle che dovevano probabilmente inquadrare una statua lignea della santa oramai dispersa.

La Pala di Santa Lucia di Lorenzo Lotto, oggi nella Pinacoteca Civica di Jesi, è stata consegnata nel 1532 alla confraternita di Santa Lucia che l’aveva commissionata nove anni prima all’errabondo pittore veneto. Destinata a decorare l’altare maggiore della cappella della confraternita in San  Floriano, la Pala mette in scena la vita della santa, dando massimo risalto al momento della disputa di Lucia col magistrato. Le vicende, che cominciano nel primo scomparto della predella con la vocazione, si interrompono a metà della seconda tavoletta, ove una tenda verde annodata ed un orologio avvertono l’osservatore che bisogna continuare la lettura della storia guardando l’ancona principale con la disputa; le vicende riprendono poi negli ultimi due scomparti di predella, ove la fanciulla viene inutilmente trascinata da una interminabile fila di buoi che continua oltre lo spazio dell’ultima tavoletta.

Negli ultimi decenni del XVII secolo un altro pittore veneto, stavolta vicentino, anche se “romano” di adozione, cioè Pasqualino Rossi viene chiamato nelle Marche, dai silvestrini del monastero di Santa Lucia di Serra San Quirico (AN), a realizzare cinque tele raffiguranti le storie della santa titolare della chiesa.

Legenda

Sede museale
Musei Civici di Palazzo Pianetti - JESI
 
Museo e Pinacoteca Diocesana "G. Boccanera" - CAMERINO
 
Pinacoteca Comunale e Musei Civici - SARNANO
 
Museo di San Francesco - MERCATELLO SUL METAURO
 
Palazzo dei Priori - FERMO
 
Pinacoteca Parrocchiale - CORRIDONIA


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