Il Codice di Protezione Civile: cosa cambia
Dal 2 gennaio 2018, il Servizio Nazionale è disciplinato dal Codice della Protezione Civile (Decreto Legislativo n.1 del 2 gennaio 2018), con il quale è riformata tutta la normativa in materia.
A distanza di due anni dall’entrata in vigore del codice, con il Decreto Legislativo n.4 del 6 febbraio 2020 , sono stati introdotti alcuni correttivi: il più evidente riguarda la competenza sugli ambiti territoriali, oltre ad altre modifiche sostanziali anche nell'art. 18 del codice medesimo.
Il Codice nasce con l’obiettivo di semplificare e rendere più lineari le disposizioni di protezione civile, racchiudendole in un unico testo di facile lettura. Per rispondere a questo obiettivo di semplificazione, ogni articolo esplicita chiaramente le norme che sostituisce e, nei due articoli conclusivi (artt. 47 e 48), offre anche un coordinamento dei riferimenti normativi e l’elenco completo di tutte le norme che attraverso il Codice sono abrogate.
La riforma ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico. Anche per questo il Codice è stato scritto in modo diverso rispetto ad altre norme ed è stato elaborato da un gruppo di redazione composto da rappresentanti di Dipartimento della Protezione Civile, Regioni, Comuni, Ministeri, Volontariato di protezione civile.
La prima proposta di riordino della normativa in materia di protezione civile è dunque frutto del lavoro di un gruppo misto e tale scelta ha influito sulla impostazione collettiva del Codice, nato da un confronto aperto su criticità e punti di forza della pregressa normativa in materia.
Ma perché l’esigenza di un riordino della protezione civile?
Dalla prima legge del Ministro dei Lavori Pubblici che nel 1926 regolamenta il tema del coordinamento “di protezione civile”, fino ad arrivare alla legge 225/1992, istitutiva del Servizio Nazionale, norme e modifiche seguono l’andamento storico e le emergenze del Paese. La volontà di riformare la normativa di protezione civile arriva quando la legge 225/1992 ha 25 anni e ed è già stata modificata in modo anche intensivo. Ulteriori variazioni e integrazioni di protezione civile, stratificate nel tempo, passano anche attraverso altri corpi normativi e tutti questi fattori rendono la lettura dell’ordinamento in materia molto difficile. Il nuovo Codice, che punta alla semplificazione, lo fa attraverso la consapevolezza che il mondo di oggi è complesso e che quindi anche la normativa in materia di protezione civile deve tenere conto di tale complessità, governandola. Disciplinando infatti attività di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, ma anche di gestione delle emergenze e loro superamento, il Codice ha l’obiettivo di garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva.
Di seguito, per punti, alcuni elementi di novità introdotti dal Codice:
Previsione e prevenzione. In materia di previsione, il Codice prevede innovazioni relative allo studio anche dinamico degli scenari di rischio possibili. L’attività di previsione è propedeutica alle attività del sistema di allertamento e alla pianificazione di protezione civile. Relativamente alle attività di prevenzione si tiene conto dell’evoluzione della materia nel tempo esplicitando che l’ambito della prevenzione è sia strutturale sia non strutturale, anche in maniera integrata. La prevenzione non strutturale è composta da una serie di attività in cui spiccano l’allertamento e la diffusione della conoscenza di protezione civile su scenari di rischio e norme di comportamento e la pianificazione di protezione civile. La prevenzione strutturale è reintrodotta come “prevenzione strutturale di protezione civile”, a sottolineare l’esistenza di temi di protezione civile specifici quando si parla di prevenzione strutturale. Sono inoltre disciplinati gli interventi strutturali di mitigazione del rischio in ambito emergenziale. Si precisa infine la necessità di azioni integrate di prevenzione strutturale e non strutturale.
Gestione delle emergenze nazionali. Prima del Codice, l’intervento nazionale, compresa l’attivazione di strumenti straordinari, era subordinata alla dichiarazione dello stato di emergenza. L’attivazione preventiva era rimessa all’autonoma valutazione degli Enti competenti.
Lo stato di mobilitazione, introdotto dal Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, supera questo limite e consente al sistema territoriale di mobilitare le sue risorse e di chiedere anche il concorso delle risorse nazionali, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza. Se l’evento si tramuta in calamità, si mette in moto la macchina emergenziale. In caso contrario, con un atto unilaterale del Capo Dipartimento si possono riconoscere i costi sostenuti da parte di chi si è preventivamente attivato.
Durata dello stato di emergenza. Il Codice ridefinisce la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale, portandola a un massimo di 12 mesi, prorogabile di ulteriori 12 mesi.
Pianificazione di protezione civile. Il Codice ribadisce il ruolo chiave della pianificazione e punta al superamento di una concezione “compilativa” di Piano in favore di una visione evoluta volta a rendere questo strumento pienamente operativo.
Rischi di protezione civile. Il Codice esplicita le tipologie di rischio di cui si occupa la protezione civile: sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico, idrogeologico, da fenomeni meteorologicamente avversi, da deficit idrico, da incendi boschivi. Precisa inoltre i rischi su cui il Servizio nazionale può essere chiamato a cooperare: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario, da rientro incontrollato di satelliti e detriti spaziali.
Comunità scientifica. Il Codice chiarisce i criteri di operatività nel Sistema di protezione civile, che vede ammissibili soltanto quei prodotti reputati maturi secondo le regole del mondo scientifico. La Comunità scientifica partecipa al Servizio Nazionale sia attraverso attività integrate, sia attraverso attività sperimentali propedeutiche.
Centri di Competenza. Il Codice codifica la funzione dei Centri di Competenza, la cui specificità è realizzare prodotti che possano essere utilizzati in ambito di protezione civile. I Centri di Competenza, diventano con il Codice strumenti dell’intero Sistema.
Partecipazione dei cittadini alle attività di protezione civile. Il Codice introduce il principio della partecipazione dei cittadini finalizzata alla maggiore consapevolezza dei rischi e alla crescita della resilienza delle comunità. Tale partecipazione può realizzarsi in vari ambiti, dalla formazione professionale, alla pianificazione di protezione civile e attraverso l’adesione al volontariato di settore.
LA RIFORMA
Sono passati quasi altri dieci anni e viviamo una nuova stagione di modifica del sistema, che questa volta, non riguarda solo la protezione civile, basti pensare al fatto che è stato modificato anche il titolo V della Costituzione. Da tempo ormai l’esigenza di decentramento, federalismo e sussidiarietà è avvertita in buona parte del paese, ed è stata attuata con i vari provvedimenti definiti per brevità “Bassanini”. Con il Decreto legislativo 112 del 31 marzo 98 vengono definite, suddivise per ambiti di intervento, le attività e le funzioni che in vari campi sono mantenute dallo Stato ed attribuite alle regioni ed alle amministrazioni provinciali
Alla Protezione Civile il D.L.vo 112 del dedica il capo VIII, articoli da 107 a 111. In buona sostanza l’articolo 107 determina quali sono i compiti mantenuti dallo Stato, o, per usare la dizione dell’articolo “hanno rilievo nazionale”; cerchiamo di esaminarli dividendoli per praticità in grandi categorie.
Nella prima vanno comprese le funzioni di indirizzo che sono:
1. l’indirizzo, promozione e coordinamento delle attività di tutto il sistema protezione civile ( amministrazioni dello stato centrali e periferiche, regioni, province, comuni, comunità montane , enti pubblici nazionali e territoriali ed ogni altra istituzione pubblica e privata);
2. la determinazione dei criteri di massima relativi ai programmi di previsione e prevenzione delle calamità, ai piani per fronteggiare le emergenze e coordinare le attività di soccorso, all’impiego coordinato delle componenti del sistema protezione civile, alla elaborazione delle norme in materia di protezione civile;
3. la fissazione delle norme generali di sicurezza per le attività industriali, civili e commerciali,
4. gli indirizzi per la predisposizione e l’attuazione dei programmi di previsione, prevenzione in relazione alle diverse ipotesi di rischio.
C’è da sottolineate che non abbiamo più un indirizzo “monocratico” ma è espressamente previsto che tali funzioni vengano esercitate attraverso intese nella conferenza unificata, e quindi raggiungendo un sostanziale accordo con gli enti principali destinatari di tali indirizzi, quelli cioè che sono chiamati a dare attuazione sul territorio a quanto stabilito.
Nella seconda categoria comprendiamo i compiti che devono essere svolti raggiungendo l’accordo, non con tutte le regioni e gli enti locali, ma solo con quelli interessati, e quindi:
1. deliberazione e revoca dello stato di emergenza;
2. emanazione delle ordinanze per l’attuazione degli interventi di emergenza , per evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o cose, e per la ripresa delle normali condizioni di vita;
3. predisposizione dei piani di emergenza in caso di eventi calamitosi di cui all’art.2, comma 1, lettera c) della L. 225/92.
Restano, nell’ultima categoria, non formalmente soggetti a concertazione preventiva i compiti relativi a:
1. soccorso tecnico urgente, prevenzione e spegnimento degli incendi e spegnimento con mezzi aerei degli incendi boschivi;
2. le esercitazioni periodiche relative ai piani nazionali di emergenza;
3. la promozione di studi sulla previsione e prevenzione dei rischi, naturali ed antropici.
L’art.108 del D.L.vo 112/98, dopo aver in via generale stabilito che sono conferite alle regioni ed agli enti locali tutte le funzioni non espressamente mantenute in capo allo Stato, determina le principali funzioni attribuite alle regioni ed alle province.
Le regioni sono chiamate a svolgere le funzioni relative alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, agli indirizzi per la predisposizione dei piani provinciali di emergenza. Inoltre, in emergenza, sono chiamate ad attuare gli interventi necessari per l’attuazione di interventi urgenti in caso di crisi determinata dal verificarsi o dall’imminenza di eventi di tipo b), avvalendosi anche del corpo nazionale dei vigili del fuoco, per il ritorno alle normali condizioni di vita, per lo spegnimento degli incendi boschivi (per la parte non di competenza dello stato), alla dichiarazione di esistenza di eccezionale calamità o avversità atmosferica. Sono ancora competenza delle regioni gli interventi per l’organizzazione e l’utilizzo del volontariato.
Le province sono chiamate a dare attuazione alle attività di previsione e prevenzione, compresa l’adozione dei provvedimenti amministrativi connessi, alla predisposizione dei piani provinciali di emergenza nell’ipotesi si verifichino eventi di tipo b). Hanno inoltre il compito vigilare sulla predisposizione da parte delle strutture provinciali di protezione civile dei servizi urgenti, anche di natura tecnica, da attivare in caso di eventi calamitosi del tipo b).
I comuni sono chiamati all’attuazione delle attività di previsione e degli interventi di prevenzione dei rischi sulla scorta dei programmi e piani regionali, alla predisposizione dei piani di emergenza (anche in forma associata ed integrata, in funzione delle dimensioni dell’ente e della tipologia di rischio, esempio tipico il rischio esondazione), alla predisposizione dei provvedimenti della preparazione all’emergenza, quelli cioè necessari per assicurare il primo soccorso, ed evidentemente a prestarlo, ed attuare i primi interventi urgenti in caso di emergenza, anche tramite le strutture locali di protezione civile, ed all’utilizzo del volontariato di protezione civile
Gli articoli 109,110 e 111 determinano la necessità di provvedere al riordino di alcune strutture di protezione civile, compreso il corpo nazionale dei vigili del fuoco, l’agenzia nazionale per l’ambiente ed il servizio meteorologico nazionale.
E’ stata pubblicata il 21 novembre 2000, la legge n. 353 “Legge quadro in materia di incendi boschivi”, alla quale dovranno essere adeguate le leggi regionali entro un anno dalla pubblicazione. La sostanziale novità dettata dalla norma, per quanto attiene alle strutture del sistema protezione civile, è la forte accelerazione che viene prevista per il coordinamento fra le strutture, che può essere simboleggiata dalla SOUP (sala operativa unificata permanente).
Il D.L. 353 del 7 settembre 2001 convertito con modificazioni nella L. 401/01
il 7 settembre 2001 venne emanato,il D.L. 353, che, sostanzialmente, aboliva l’Agenzia Nazionale di Protezione Civile prevista dal D.L.vo 300/99, e riportava compiti e funzioni in capo al Dipartimento della Protezione Civile, pur salvaguardando il trasferimento di competenze previsto dal D.L.vo 112/98.
Le novità più rilevanti sono sostanzialmente nell’
Art. 5. E’ il cuore, per così dire della riforma . Stabilisce quali siano i compiti del Presidente del Consiglio, o del Ministro dell’Interno da lui delegato, e cioè, in sostanza, determinare le politiche di protezione civile, detenere il potere di ordinanza (ricordate l’art. 5 della L.225/92?) e coordinare l’attività di tutte le componenti del sistema protezione civile, dettare, d’intesa con le Regioni, gli indirizzi operativi dei programmi di previsione e prevenzione, dei programmi di soccorso ed i piani per le conseguenti misure di emergenza. Vengono inoltre definiti gli organismi di partecipazione che sono:
• un comitato paritetico con rappresentanti delle Regioni e degli enti locali, per quanto riguarda le cosiddette strategie generali;
• la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, all’interno della quale siedono fra gli altri, due esperti designati dalle regioni ed un rappresentante del comitato nazionale del volontariato di protezione civile,che ha compiti di consulenza tecnico – scientifica;
• il comitato operativo della protezione civile (EMERCOM), all’interno del quale siedono fra gli altri, due esperti designati dalle regioni ed un rappresentante del comitato nazionale del volontariato di protezione civile. EMERCOM assicura la direzione unitaria ed il coordinamento delle attività di emergenza ed è quindi un organismo che deve assicurare la rapidità delle decisioni. Ecco perché la legge prevede che coloro che partecipano ai lavori abbiano la piena rappresentanza della propria amministrazione.
Per dare attuazione alle proprie competenze il Presidente del Consiglio si avvale del Dipartimento della Protezione Civile. Il Capo del Dipartimento della Protezione Civile dovrà, secondo le direttive del Presidente del Consiglio, rivolgere a tutte le componenti del sistema protezione civile le indicazioni necessarie per garantire le finalità di coordinamento operativo.
Oltre alle attività fin qui descritte, il Dipartimento dovrà, d’intesa con le regioni e gli enti locali:
• promuovere lo svolgimento di esercitazioni, l’informazione alle popolazioni interessate per gli scenari nazionali, e l’attività di formazione in materia di protezione civile;
• definire anche sulla base dei piani di emergenza gli interventi e la struttura organizzativa necessaria per fronteggiare gli eventi calamitosi;
• formulare gli indirizzi ed i criteri previsti dall’art. 107 del D.L.vo 112/98 (vedere a pag. 8 e 9).
Una delle sostanziali novità rispetto all’assetto delle competenze esistente fino al momento dell’emanazione della legge è data dal fatto che, relativamente all’attività tecnico operativa per assicurare i primi interventi in caso di eventi di tipo C), il Dipartimento agisce in concorso con le Regioni, e queste si raccordano con i prefetti ed i comitati provinciali di protezione civile, mentre in passato il rapporto diretto era Dipartimento – Prefetture.
Art. 5. BIS. La disposizione di maggior rilievo è quella che prevede che possa essere emanata l’ordinanza ai sensi dell’articolo 5 della L.225/92, anche in occasione di grandi eventi che possano rientrare nella competenza del Dipartimento, ma diversi da quelli per i quali è prevista la dichiarazione dello stato di emergenza. L’esempio classico può essere il Giubileo, che non determina uno stato di emergenza, ma che per le sue caratteristiche richiede l’uso di strumenti giuridici flessibili e rapidi.