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venerdì 19 dicembre 2025  10:40 

 

La tutela dell’ambiente nell’Unione europea affonda le proprie radici nel Trattato istitutivo. L’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) evidenzia gli obiettivi in materia ambientale su: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente; protezione della salute umana; utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o
mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. Era già evidente l’intreccio tra salute umana ed ambiente (poi sfociato nel concetto di OneHealth) nonché la dimensione della sostenibilità ambientale e dell’approccio globale al fenomeno dei cambiamenti climatici.

Tutti questi aspetti sono stati ulteriormente approfonditi dal piano Green Deal della Commissione europea a partire dal 2019. I principi normativi di base sono sempre garantiti dal TFUE e sono costituiti dai principi di precauzione e dell’azione preventiva, dal principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché dal principio “chi inquina paga”, mirando sempre a un elevato livello di tutela in materia ambientale. Nel predisporre la sua politica, l’Unione deve tenere conto dei dati scientifici e tecnici disponibili; delle condizioni dell’ambiente nelle varie regioni dell’Unione; dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza di azione; dello sviluppo socioeconomico dell’Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni. Come ulteriore principio che guidi le politiche ambientali, il Trattato ha inserito l’apposito criterio secondo il quale le politiche ambientali unionali debbano essere strutturate in maniera tale da velocizzare la transizione verso un’economia sostenibile, innovativa e circolare, in cui la biodiversità sia protetta, valorizzata e ripristinata, e i rischi sanitari connessi all’ambiente siano ridotti al minimo. Il collegamento tra ambiente ed economia è duplice: nel senso di non sprecare troppe risorse (mirando a rafforzare la resilienza dell’Unione e a svincolare la crescita economica dall’uso delle risorse) e nel senso di renderel’economia più forte e competitiva.

A tal proposito, nel Green Deal, la Commissione europea ha fissato degli obiettivi specifici come la promozione dell’uso efficiente delle risorse; il passaggio a un’economia pulita e circolare; il ripristino della biodiversità; la riduzione dell’inquinamento. Spicca anche l’ottavo programma di azione per l’ambiente (2022) elabora ed attua le politiche ambientali e climatiche fino al 2030.

L’intreccio tra ambiente ed economia è talmente intenso che, nel corso degli ultimi anni, ha portato a ripensare il modo di gestire tutta la produzione a partire dalla sua ideazione sino allo smaltimento dei residui, andando verso una totale circolarità della stessa.

Tuttavia, dopo il periodo Covid e la “permacrisi” con le varie guerre che sono scoppiate sino a lambire l’UE, il dibattito sulla dialettica ambiente-economia si è spostato nel crinale dei “costi vivi” della transizione ambientale per le imprese, specialmente per le micro-piccole e medie imprese di cui è maggiormente composto il tessuto produttivo italiano. Sicuramente, il primo fraintendimento è insito proprio nel primo termine di “costo” che, al contrario, dovrebbe essere computato come “investimento”, talvolta proprio come un “investimento collettivo”, collegato direttamente alla “responsabilità sociale d’impresa” che affonda le proprie radici nei doveri costituzionali delle imprese di rispettare l’ambiente e la salute umana.

La riforma costituzionale dell’art. 41 della Costituzione italiana – operata nel 2022 – lungi dall’essere una mera modifica di fatto, è immediatamente precettiva ed orienta tutta la legislazione ordinaria e l’attività d’impresa che deve, giocoforza, tenere in maggiore considerazione i propri obblighi di rispetto dell’ambiente e della salute. Il termine “investimento” è, pertanto, più corretto rispetto a “costo” e come tale, dovrebbe essere computato nei bilanci.

Ciononostante, lo sforzo di liquidità a cui sono sottoposte le imprese è notevole e ciò ha innescato un ripensamento anche da parte della Commissione europea.

Nei disegni di legge “omnibus” – in discussione in queste settimane - la Commissione desidera ridurre la burocrazia per le imprese, al fine di accelerare sulla competitività oltre che sulla sostenibilità ambientale. La grande sfida sarà di bilanciare senza compromettere gli standard ambientali. Più precisamente, ci si sta concentrando sul taglio di almeno il 25% dei requisiti amministrativi ambientali entro il 2029, con un risparmio stimato complessivo fino a un miliardo di euro l’anno. Tuttavia, le organizzazioni ambientaliste temono che, così facendo, l’Unione europea non raggiunga la maggior parte degli obiettivi ambientali del 2030.

Insomma, stiamo assistendo a sfide epocali ed auguriamo al Parlamento europeo e al Consiglio – che dovranno discuterle ed approvarle - il massimo rigore, equilibrio e grande lungimiranza.

 

Autore: Marta Cerioni, Professoressa Associata di Diritto Costituzionale e Pubblico presso il Dipartimento di Management dell’Università Politecnica delle Marche ove insegna Dirittopubblico, Diritto dell’informazione e Diritto sanitario; Direttrice dell’Osservatorio sulla Legalità Economica e i Diritti fondamentali del DIMA; Membro del Centro Alti Studi Europei, UNIVPM; Avvocata Cassazionista.

in collaborazione con Europe Direct