La sindrome del tramonto

Le informazioni contenute in questa pagina sono a cura di: Martina Pesallaccia.

“AL CALAR DELLA SERA”, OVVERO LA SINDROME DEL TRAMONTO E LA SUA GESTIONE

 

Chi assistite a vario titolo persone affette da una qualche forma di demenza prima o poi si trova a vivere con ansia e preoccupazione l’arrivo delle ore serali. Quelle ore, mentre la luce del giorno si affievolisce e la casa, i suoi oggetti e le sue stanze sembrano assumere un aspetto diverso e talora rarefatto, rappresentano “l’ultimo miglio” che separa dal traguardo del riposo notturno, l’ultimo, ma spesso il più difficile da affrontare.

 

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Questo accade a causa della “sundowing syndrome” o sindrome del tramonto, una condizione descritta per la prima volta da Cameron nel 1941 come “delirio senile notturno”, un disordine neurocomportamentale complesso che colpisce nelle ore serali soggetti affetti da declino cognitivo.

Ad oggi non si conoscono le cause di questa condizione che colpisce tra il 2.5% e l’85% dei soggetti affetti da demenza, a seconda delle casistiche prese in esame. Quest’ ampia variabilità è giustificata dalla mancanza a tutt’oggi di criteri specifici che definiscano cosa rientra nella dicitura “sindrome del tramonto” e cosa invece non va considerata come tale.

Fra le ipotesi formulate sull’ eziopatogenesi di questa condizione, la più ampiamente condivisa è quella secondo cui causa della sindrome del tramonto è la riduzione dei livelli di melatonina. La melatonina è un ormone prodotto dalla ghiandola pineale durante le ore di buio, il cui rilascio in circolo è legato al nucleo ipotalamico soprachiasmatico, una regione cerebrale che rappresenta il nostro “orologio biologico”, sede di modificazioni fisiologiche indotte dall’invecchiamento e ancor più profonde in caso di declino cognitivo quando si verifica una netta riduzione dei livelli di melatonina circolante. Quei sistemi che regolano i nostri ritmi circadiani di sonno-veglia correlati con quelli buio-luce sono gli stessi implicati nel comportamento emotivo e questo spiega perché un loro danno, in caso di demenza, sarebbe in grado di generare un peggioramento dei disturbi comportamentali nelle ore serali.

Tra i fattori che ne facilitano la comparsa, in particolare nei soggetti affetti da malattia di Alzheimer, sembra esserci la presenza dell’allele ε4 del gene dell’APO E (apolipoproteina E). Anche condizioni fisiche o fattori ambientali possono favorirla, come la fatica fisica e mentale del malato o la sua over-stimolazione, la fame, la sete o il dolore, i deficit visivi ed uditivi anche pre-esistenti rispetto alla condizione di demenza o ancora gli effetti secondari di certi farmaci, piuttosto che lo stress o la frustazione del caregiver e la mancanza di luce naturale.

Le manifestazioni cliniche più comuni della sundowing syndrome includono: incremento della confusione e del disorientamento, sbalzi d’umore, irritabilità, agitazione, aggressività, allucinazioni visive e/o uditive e comportamenti motori aberranti con il wandering, ma anche l’apatia e l’ansia.

L’orario più frequente in cui si iniziano a manifestarsi i sintomi è quello compreso tra l’una e le quattro-cinque del pomeriggio, per poi proseguire nella serata rendendo talora difficile l’addormentamento notturno.

 

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Affrontare la sindrome del tramonto per familiari e caregiver di pazienti affetti da demenza può essere estremamente impegnativo e frustrante. Prima di gestire questa condizione con approcci di tipo farmacologico, sarebbe sempre preferibile mettere in atto una serie di misure non farmacologiche comportamentali ed ambientali. Prima fra tutte, lo strutturare una routine quotidiana, che comprenda il coinvolgimento del paziente nello svolgimento di attività proporzionate alle sue capacità residue ed anche una modica attività fisica svolta ad orari regolari (es. passeggiata all’aria aperta), si è dimostrato in grado di minimizzare la confusione e la conseguente ansia del malato.

In secondo luogo creare un ambiente familiare attorno al malato, rilassante, così come ridurre il rumore nelle ore pomeridiane ed accendere una luce al crepuscolo in modo da garantire al paziente una visione “nitida” dell’ambiente che lo circonda si sono dimostrati utili.

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Quando queste misure non sono sufficientemente efficaci e sono necessari approcci farmacologici, la prima sostanza da introdurre è la melatonina; se questa si rivela inefficace si può passare a benzodiazepine, inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI), neurolettici atipici, il cui uso nei casi di sundowing syndrome sembra però gravato da un incremento del rischio di agitazione notturna e cadute.