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giovedì 14 ottobre 2021  05:05 

“Garantire la dignità di sentirsi belle anche nella malattia”. Con questa finalità lo IOM di Jesi e della Vallesina onlus ha donato un casco refrigerante di nuova generazione all’Oncologia dell’Ospedale Carlo Urbani di Jesi. Assicura la refrigerazione del cuoio capelluto, prevenendo, nel 50 per cento dei casi, l’alopecia causata da alcuni farmaci chemioterapici. “Le cure oncologiche non riguardano solo la sfera farmacologica, ma anche quella psicologia delle pazienti, coinvolgendo un concetto che abbraccia non solo la parte medica, ma anche la capacità delle persone ad autostimarsi per reagire alla malattica e agevolare la cura”, la sintesi degli interventi registrati nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’apparecchio, che si è tenuta nella Sala della direzione medica del presidio “Murri”, adiacente al “Carlo Urbani”.

Sono intervenuti, tra gli altri, l’assessore regionale alla Sanità Filippo Saltamartini, il direttore generale Asur Marche Nadia Storti, il sindaco Massimo Bacci, la presidente IOM di Jesi Anna Quaglieri, il dirigente medico UOSD Oncologia Mobin Safi.

“È un macchinario importante che dovremmo garantire a tutte le donne colpite da patologie neoplastiche – ha evidenziato l’assessore Saltamartini – Le Marche vantano un’altissima performance nelle cure oncologiche che dobbiamo ulteriormente potenziare rafforzando la rete oncologica regionale. Quanto realizzato a Jesi è un fatto estremamente importante perché avvicina i cittadini alla pubblica amministrazione, grazie a uno stretto connubio tra pubblico e privato, in un settore vitale come quello della sanità”.

Il sindaco Bacci ha evidenziato “l’importanza di disporre di un macchinario all’avanguardia che aiuta i pazienti a superare i traumi oncologici”, mentre la presidente Quaglieri ha anticipato un altro progetto dello IOM della Vallesina: “L’avvio di un corso di maquillage per insegnare alle donne a rimanere in ordine, per aiutarle a essere donne anche nella malattia. Il rischio da scongiurare è quello di non sentirsi più donne per i propri figli e i propri cari, perché questo distrugge la donna: non essere più quello che era, rinunciando a curarsi”. Per i pazienti significa – ha detto Il dottor Mobin Safi – “la possibilità di conservare il controllo della vita privata, incoraggiando un atteggiamento positivo verso il trattamento”.