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09/09/2002

UNA PROPOSTA DI LEGGE FAVORISCE LE UNIONI TRA COMUNI PER LA GESTIONE DEI SERVIZI. IL 55% HA MENO DI 5 MILA ABITANTI. SPACCA: UN AIUTO PER GOVERNARE E ESSERE PROTAGONISTI NELLO STATO FEDERALE.

Realizzare economie di scala e migliorare l’uso delle risorse, rendendo più efficienti la gestione delle funzioni e la prestazione dei servizi ai cittadini, senza che venga alterata l’identità e la personalità giuridica dei Comuni. E’ questo lo spirito della proposta di legge approvata dalla giunta, che prevede interventi per facilitare l’associazionismo tra i piccoli enti locali. Per ogni anno (2002, 2003, 2004) è prevista una spesa complessiva di 568.100 euro (un miliardo e 100 milioni di vecchie lire). Il vice-presidente Gian Mario Spacca, che ha anche la delega agli enti locali, sottolinea che è una iniziativa che va nella direzione della riforma dello Stato in senso federalista, che assegna un ruolo strategico ai Comuni, in quanto momento più vicino ai cittadini. “Il governo regionale – ha detto – non vuole andare verso un nuovo centralismo, ma valorizzare il protagonismo delle municipalità che, nel nostro modello economico-sociale, sono un fattore di crescita e sviluppo della comunità, mettendole in grado di esercitare appieno questo ruolo che gli viene assegnato dal riscritto Titolo V della Costituzione.” Spacca ricorda che, come sostiene lo stesso osservatorio del coordinamento nazionale delle Unioni, laddove queste funzionano, c’è un aumento in termini di servizi e di qualità degli stessi: “si può dire che la sopravvivenza e la capacità di governo dei piccoli Comuni è strettamente connessa alla loro capacità di mettersi assieme.” Lo scopo della proposta di legge – è stata esaminata da diversi momenti tecnici e istituzionali (gruppo di lavoro Regioni-Enti locali, comitato d’intesa Regione-Anci-Upi-Uncem-Aiccre-Lega delle autonomie, conferenza dei Servizi, conferenza regionale delle autonomie) – è proprio quello di incoraggiare con opportuni incentivi questo processo, che deve essere graduale e nascere dalla stessa volontà delle amministrazioni, è detto nella relazione che l’accompagna. I contributi finanziari sono annuali per investimenti infrastrutturali e spese correnti e, inoltre, sono previsti anche contributi straordinari per la stessa costituzione di unioni o fusioni (sono almeno il doppio di quelli previsti per le unioni). L’entità del contributo dipenderà dal numero e dalla tipologia delle funzioni e dei servizi gestiti in forma associata. La storia delle Unioni dei Comuni – All’origine il tema è disciplinato dalla legge 142/1990 (ordinamento delle Autonomie locali), ma diventa veramente di interesse con la legge 265/1999 e con il successivo testo unico sugli Enti locali (decreto legislativo 267/2000). La ragione è semplice: l’articolo 26 della 142 stabiliva una serie di regole che di fatto hanno bloccato la nascita delle Unioni. Poteva far parte dell’Unione non più di un Comune con popolazione superiore fra i 5 mila e i 10 mila abitanti. Ma soprattutto stabiliva che, entro dieci anni dalla costruzione dell’Unione si dovesse procedere alla fusione: nel caso contrario l’Unione sarebbe stata sciolta. E’ proprio lo “spauracchio” della fusione ha scoraggiato la formazione delle Unioni che, fino alla legge 265 erano solo 16 in tutta Italia. Una situazione diversa si è creata con la 265 (fino ad ora sono circa 150 e la situazione è in continua evoluzione), che eliminando questi vincoli ha incentivato forme di associazionismo tra i Comuni di minori dimensioni. Ora le richieste dell’ANCI – verranno fatte a Governo, Parlamento e Regioni in occasione della Conferenza nazionale dei sindaci, il 20 settembre a Torino – sono sostanzialmente tre: normative, economiche e istituzionali. Per la parte normativa, la proposta è di prevedere una disciplina differenziata con semplificazione degli adempimenti per l’attuazione, nei piccoli comuni , di alcune leggi (es. quella sui lavori pubblici), ma anche interventi differenziati per la politica di tutela del patrimonio culturale, per la manutenzione del territorio: insomma una serie di interventi con l’obiettivo di arrestare lo spopolamento. La realtà italiana e il caso Marche Sono 8.103 i Comuni italiani e quelli con una dimensione demografica inferiore ai 5 mila abitanti sono 5.868. Le Regioni con la più alta concentrazione di Comuni al di sotto dei 5 mila abitanti sono soprattutto al nord, ma anche nelle altre aree montane della Penisola. Tra le regioni del centro Italia (considerando Toscana, Marche, Lazio, Umbria, regioni anche comparabili per il tipo di sviluppo) le Marche sono quelle con la percentuale maggiore: dei 246 Comuni, il 55% (181) è al disotto dei 5 mila abitanti e solo il 18% (34) arriva fino a 10 mila. Le Unioni esistenti in Italia e nelle Marche Sono circa 150 Unioni e il maggior numero è in Lombardia, Piemonte e Veneto. Nelle Marche sono 7, quelle finora costituitesi (tre in Provincia di Pesaro, tre in quella di Ancona e un’altra in quella di Ascoli Piceno). I servizi raccordabili sono i più disparati: organizzazione del Comune (personale, ragioneria), sportello per le imprese, servizi sociali, strutture ricreative e del tempo libero. In alcune realtà si è potuto costituire un corpo di polizia municipale, altrimenti impensabile senza l’Unione (ci vogliono almeno 6 vigili per costituire un corpo) con vantaggi significativi in termini di sicurezza della popolazione. Queste le Unioni che si sono costituite: Comuni dell’Alta Val Conca- Montefeltro con 4229 abitanti (Mercatino Conca, Monte Cerignone, Montefelcino); Comuni di Lunano e Sassocorvaro con 4654 abitanti; Comuni di Belvedere Ostrense, San Marcello e Morro D’Alba con 5.753 abitanti; Comuni di Castel Colonna e Monterado con 2.492 abitanti; Comuni di Corinaldo, Barbara e Castelleone di Suasa con 8.399 abitanti; Comuni della Val D’Aso con 12.018 abitanti (Altidona, Campofilone, Lapedona, Montefiore dell’Aso, Monterubbiano, Moresco e Pedaso) e, ultima nata, quella che dei comuni di Mondolfo, San Costanzo, Monteporzio, per un totale di 17.432 abitanti. (e.r.)