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15/11/2001

NELLE MARCHE QUASI PIENA OCCUPAZIONE: IL QUADRO ILLUSTRATO DALL’ISTAT AL SEMINARIO NAZIONALE DI ANCONA, POSITIVI GLI INTERVENTI ATTIVATI

Il 60,8% dei marchigiani dai 15 ai 64 anni sono occupati con un incremento del 3,6% dal ’95 al 2000: dati inferiori solo a quelli del ‘nord-est’ italiano e migliori di quelli del ‘nord-ovest’. Rovesciando l’analisi ed analizzando la disoccupazione, nelle Marche il dato è buono (il 5%), ‘frizionale’, come dicono gli esperti Istat, e superiore solo al ‘solito’ ‘nord-est’ (3,8%), al contrario migliore seppur di poco rispetto al ‘nord-ovest’, e al ‘centro’ (8%). Tutto ciò tenendo conto che la ripresa produttiva nelle Marche è iniziata in ritardo (1997) sulla media italiana (1995). Risalta lo scostamento positivo fra il 1995 e il 2000 dell’impiego di donne aumentato del 5,1% rispetto al 2% agli uomini. La percentuale assoluta, però, premia ancora i maschi (72,2% di occupati) rispetto alle donne (49,3%). Questi i risultati dell’indagine divulgata dai relatori dell’Istat al Seminario nazionale su ‘L’informazione statistica sul lavoro nelle Marche’ organizzato dalla Regione all’Hotel Jolly di Ancona ed al quale hanno partecipato il presidente della Giunta regionale Vito D’Ambrosio e l’assessore Critina Cecchini. L’iniziativa è servita anche a presentare il Sistema statistico regionale (Sistar), ‘prolungamento locale’ di quello nazionale (Sistan), nato dall’incrocio fra le banche dati delle istituzioni operanti in questo settore. Per “inserire ‘le antenne giuste al posto giusto’ – ha detto D’Ambrosio -. Spesso si corre il rischio di sbagliare l’approccio ai problemi non per difetto di notizie, ma per il loro eccesso che ‘nasconde’ quelle su cui operare. Il ruolo dello statistico è costruire la griglia per permettere al ‘decisore politico’ di capire su chi e dove intervenire. Specialmente il sistema Marche, fatto di una rete capillare di piccole e piccolissime imprese, nasconde una realtà di lavoro sommerso. Portarlo allo scoperto non significa solo lotta all’evasione, ma programmazione di interventi, nei trasporti o nella collocazione degli asili nido ad esempio.” I risultati Istat dimostrano un’impiego pressoché totale e un buon equilibrio fra le quattro province dove solo Macerata ha un trend inferiore a quello di zone limitrofe anche fuori regione. Il problema è secondo l’Istat riconoscere i picchi meno positivi o negativi che in sostanza sono: donne, in particolare le ultratrentacinquenni uscite dal mercato del lavoro, e laureati, con maggior rilievo per la quota femminile. “L’Istat – ha commentato la Cecchini – ci ha confortato sulle politiche che abbiamo attivato nel 2001. Proprio a queste categorie abbiamo dedicato interventi e risorse. Il piano 2002, per cui, è facile da declinare: donne, laureati, diplomati e aggiungerei occupazione a rischio, visto il ripetersi di ‘espulsioni’ lavorative legate a vere o volute ristrutturazioni.” All’Istat l’assessore chiede un ulteriore contributo: capire se i giovani fino a 35 anni vivono in casa; un elemento utile per decidere quale strategia attivare per renderli autonomi attraverso interventi sociali e di politica attiva del lavoro. Ad esempio con la creazione di nuove imprese o incentivi all’occupazione e ai redditi. I lavoro sommerso La presenza di lavoro sommerso allinea le Marche alla media ‘centro’ Italia (dal 13,3% al 16%) ed é superiore di due punti a quella del ‘nord’. Sono necessarie la defiscalizzazione degli alti costi del lavoro e incentivi alla regolarizzazione degli immigrati. Bacino quest’ultimo e motivo base il precedente dell’aumento considerevole di lavoro nero (83 mila lavoratori stimati – dati Istat). Cristina Cecchini, infine, ha parlato di un problema che pone un conflitto con le politiche del Governo: “E’ necessario un patto con l’impresa: nessuno deve pensare che la scelta migliore sia rendere più flessibile il lavoro. Le Marche devono mantenere alta la ‘performance’ di qualità dei prodotti. Dove c’è specializzazione, c’è meno disoccupazione e più coesione sociale. La strategia è: molta più formazione interna ed esterna alle aziende. In una regione dove un cittadino su otto è imprenditore non esiste il problema della delocalizzazione delle attività o delle sedi perché le attività principali, quelle che hanno bisogno di manodopera specializzata e intellettuale, rimarranno sempre qui”. (fb)