Quasi 50 mila schede di catalogazione delle diverse tipologie di beni culturali ed oltre 58 mila immagini. Sono le cifre del primo bilancio triennale del programma di catalogazione avviato dal Centro regionale per i Beni Culturali. Le schede e le immagini prodotte sono gestite attraverso il S.I.R.Pa.C. (Sistema Informativo Regionale per il Patrimonio Culturale), un prodotto informatico, allineato tanto sul piano metodologico quanto su quello tecnologico con le più avanzate sperimentazioni di settore in ambito nazionale. Il S.I.R.Pa.C. – elaborato dalla Società Etnoteam Adriatica - consente, attraverso una banca dati ed una rete informatica, la visualizzazione di opere d''arte, edifici architettonici, reperti ed aree archeologiche, disegni ecc., immediatamente fruibili in modo virtuale, tanto come immagini, quanto come informazioni conoscitive; insomma, un approccio facile e personalizzato, da parte di tutti i potenziali utenti (pubbliche amministrazioni, università, istituzioni, ma anche studenti, tecnici, ricercatori) al cosiddetto Museo Diffuso, a quel patrimonio cioè diversificato e storicamente stratificato che costituisce l''irripetibile peculiarità di questa regione.
“Siamo a metà del cammino- ha detto il presidente D’Ambrosio, anche nella veste di assessore alla Cultura - a metà di una strada che sarà sempre più percorribile da tutti e che è stata costruita grazie ad una politica di collaborazione e di alleanze tra i diversi livelli istituzionali e soggetti fondamentali come gli enti ecclesiastici. Un grande passo avanti rispetto al passato, quando esisteva una situazione paradossale in tutto il territorio nazionale: di fronte ad un patrimonio culturale sterminato, non si conosceva realmente né la quantità effettiva, né il luogo di giacenza, né le condizioni del bene. Ora abbiamo posto riparo a questa situazione, non senza difficoltà, ma grazie alla dedizione, ad una forte determinazione e ad una grande volontà di tutti coloro che ci hanno lavorato, a cominciare dal Direttore del Centro, Arch. Mario Canti. Potremo quindi conoscere effettivamente il nostro patrimonio, i nostri tesori marchigiani, quanto cioè siamo ricchi. E possiamo dirlo con orgoglio, visto che l’investimento- e di reale investimento si tratta- è stato di 2 miliardi: non una cifra altissima per un’opera che definirei imponente. Due gli elementi determinanti di questa riuscita: una struttura informatica che è andata sempre più sviluppandosi e il senso di collaborazione tra soggetti che lavorano con gli stessi stimoli e finalità. Possiamo, infatti, dire che siamo tra le poche Regioni ad aver impostato un valido rapporto con le Soprintendenze marchigiane, convinti che la condivisione delle informazioni sulla cultura , tendono allo stesso fine: socializzare il bene culturale e renderlo sempre più fruibile. Su questi principi si sono basati anche gli accordi con la Regione Episcopale Marchigiana e in particolare con Mons. Cleto Bellucci, responsabile per i beni culturali di proprietà ecclesiastica che rappresentano il 65-70% di tutto il patrimonio marchigiano. La condivisione delle informazioni, come priorità del programma, non è stata sempre facile, perché si è trattato anche di creare appositi software per uniformare i criteri di schedatura e far dialogare le diverse Banche Dati. Un’ultima annotazione, ma non meno importante: questo programma di catalogazione che arricchirà l’offerta complessiva del Sistema Marche, perché potrà essere accessibile fino agli uffici turistici, ha creato anche occupazione : 48 catalogatori, su 88 idonei dopo una selezione, hanno lavorato al programma e 6 consulenti esterni. E’ stato creato quindi anche un bacino di professionalità e di competenze che potrà formare altri giovani laureati e orientarli ad un lavoro che offre sempre più opportunità per lo stesso concetto di evoluzione continua che lo caratterizza.”
Di perenne evoluzione per l’attività di catalogazione ha parlato anche l’arch. Canti che ha impostato il programma generale e che concluderà il suo incarico di Direttore del Centro regionale per i Beni Culturali alla fine di ottobre. “Lo stesso approccio metodologico cambia nel tempo ed ha senso se parla linguaggi comuni. Abbiamo utilizzato una metodologia di catalogazione che è molto avanzata, sia tecnologicamente che concettualmente. Ed è proprio questa che ci ha permesso di diventare partner nel progetto europeo Italo Francese– “Aquerelle” con cinque regioni italiane (Lombardia , Lazio, Emilia Romagna e Friuli) e le maggiori Soprintendenze archeologiche italiane. La catalogazione, dunque, si è evoluta anche rispetto ai primi vent’anni di storia regionale: lo stesso Statuto aveva un atteggiamento finalizzato alla sola conservazione del bene culturale, compito che la Regione ha svolto spesso in modo surrettizio alle Soprintendenze. Ma oggi è cambiato anche questo concetto: la conservazione non è attività unicamente dello Stato, perché la valorizzazione del bene culturale passa attraverso la conservazione, la conoscenza e la catalogazione, attività inscindibili l’una dall’altra. Per riassumere: la schedatura informatizzata di un bene culturale permette anche di sapere subito quali sono le condizioni del bene e programmarne i necessari interventi di restauro. La costruzione di questo sistema di catalogazione, inoltre, che è adesso a regime, confluisce nella realizzazione di uno degli obiettivi del Piano Regionale di Sviluppo: il processo di valorizzazione dell’identità locale. La catalogazione cioè aiuta al confronto delle realtà territoriali non in senso campanilistico ma nella ricerca di elementi comuni e nella consapevolezza sempre più allargata del patrimonio culturale marchigiano.”
Il responsabile del progetto di catalogazione, Raimondo Orsetti ha infine spiegato che il lavoro dei prossimi tre anni sarà finalizzato al raddoppio della schedatura dei beni ed alla divulgazione dell’attività di catalogazione e alla fruibilità online dei beni culturali marchigiani. (ad’e)
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