L’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive, introdotta circa 2 anni fa) non ha soddisfatto le aspettative, né come incentivo allo sviluppo né tantomeno come percorso privilegiato verso l’autonomia tributaria regionale e il federalismo fiscale. E’ quanto è emerso dall’incontro di studio “L’IRAP e la difficile evoluzione dell’autonomia tributaria regionale” organizzato dall’Università di Ancona – Dipartimento di Economia - nell’ambito della convenzione stipulata tra Regione Marche e Università per uno studio di valutazione sugli effetti a tutto campo dell’imposta regionale.
Il convegno di oggi, tenutosi nella sede della giunta regionale, è stato oltre che un’occasione di approfondimento e di analisi dei risultati della ricerca dell’Ateneo dorico, anche un momento di confronto operativo con altre realtà regionali e provinciali ( Umbria, Provincia di Trento, Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia e Lombardia).
Nel salutare gli ospiti intervenuti, il presidente della giunta regionale Vito D’Ambrosio ha evidenziato come il quadro attuale non sia certo soddisfacente, ma che l’IRAP costituisce tuttavia un passo significativo verso il ridisegno politico delle Regioni e verso il nuovo fiscalismo. Gli aspetti negativi secondo D’Ambrosio riguardano soprattutto la discrezionalità di manovra da parte delle Regioni - “troppo ridotta e unidirezionale”- l’aggravio fiscale congiunto sui cittadini e quindi il rischio di un’ulteriore sfiducia nelle istituzioni e l’appesantimento sul tessuto produttivo regionale. D’Ambrosio ha anche richiamato l’importanza, in questa attuale situazione di transizione, del principio della “leale collaborazione fra istituzioni” : un confronto diretto che non significa essere comunque d’accordo, ma che serve soprattutto a mettere in chiaro le reciproche necessità. “
Anche il vicepresidente e assessore al bilancio Emilio Berionni, ha affermato che dall’IRAP ci si aspettava uno strumento capace di imprimere un’ulteriore spinta allo sviluppo ‘una leva che accompagnasse anche quello occupazionale , ma che non è stato così. “Va comunque riconosciuto – ha detto Berionni- che l’IRAP è un mattone della costruzione del sistema di federalismo fiscale, in ogni caso un avanzamento per arrivare al disegno compiuto in un Paese come il nostro in cui esistono vincoli storicamente radicati, ad iniziare dallo stock del debito pubblico. Ma un processo che va portato avanti perché dipende dalla piena realizzazione del federalismo fiscale il poter ridurre il distacco che fino ad oggi ha caratterizzato il rapporto fra istituzione Regione e cittadino. Il quadro che si è delineato porterà ad un cambiamento epocale delle politiche regionali, perché muterà profondamente il rapporto con il cittadino contribuente che avrà la diretta percezione della distribuzione delle risorse derivanti dal prelievo fiscale e “premierà” o meno quella amministrazione regionale con il consenso elettorale.”
Illustrando l‘indagine dell’Università, iniziata contestualmente all’introduzione dell’IRAP, Lorenzo Robotti, coordinatore della ricerca, ha spiegato che gli effetti sperati di riduzione del costo del lavoro, di incentivo agli investimenti sono stati completamente contraddetti: non solo si è assistito ad un aumento del costo del lavoro ma anche ad una riduzione dell’impiego di capitale proprio da parte degli imprenditori marchigiani. Dal punto di vista occupazionale, infatti, non c’è stata riduzione ma certo non si è incrementata. Altro elemento negativo sottolineato da Robotti è stato l’impatto sulle imprese agricole marchigiane perché di fatto l’IRAP ne ha favorito ed accelerato l’espulsione e così anche per quelle commerciali, come risulta dall’indagine campionaria sulle imprese, conclusa recentemente dallo stesso Dipartimento di Economia. Robotti ha, infine, affermato che occorre comunque da parte delle Regioni una maggiore volontà di affrancarsi e di
uscire da “posizioni ancillari nei confronti del governo centrale” come nel caso dell’archivio tributario che potrebbe costituirsi all’interno delle stesse regioni. L‘IRAP rappresenta tuttavia in questo momento l’unico strumento, a livello qualitativo e quantitativo perché applicabile anche in regime di riduzione e non solo in aumento, verso la piena autonomia fiscale”. Il docente universitario ha quindi ribadito la necessità di attrezzarsi se si vuole compiere il processo federalista “perché non è pensabile una forte azione di governo, senza pensare prima alla gestione dell’imposizione fiscale, dell’accertamento e del potere sanzionatorio, in un quadro che si sta complicando anche alla luce del nuovo decreto 133, che tra luci e molte ombre, ha comunque applicato finalmente il principio costituzionale dell’autonomia finanziaria delle Regioni sancito dall’articolo 119.” Quest’ultimo richiamo è stato evidenziato anche da Paola V. Renzi dell’Università di Ancona che ha definito la recente normativa un passo comunque positivo perché è stato possibile compierlo “a Costituzione invariata”. Ma la docente universitaria ha anche parlato di “potere compresso” delle Regioni, di maggiori responsabilità delle regioni a fronte di una capacità di scelta ridotta da quella che è in effetti una “compartecipazione” alle quote del prelievo fiscale e di uno Stato centrale ancora troppo regista nella distribuzione delle risorse. Gli aspetti critici della “genesi dell’IRAP” rimangono comunque tutti , anche sotto il profilo giuridico, circa il presupposto di illegittimità costituzionale perché violerebbe il principio del beneficio (solo una parte di contribuenti e i benefici allargati a tutti) e della semplificazione per la quale non è stato raggiunto l’obiettivo: anche se sostituisce altre imposte è la stessa IRAP di difficile applicazione. Occorrerà nel prossimo futuro, per ampliare la capacità di manovra, il potere di accertamento e quello sanzionatorio, predisporre un sistema di anagrafe per arrivare ad un modello di studi di settore. “
Alberto Zorzoli, vicepresidente e assessore al bilancio della Regione Lombardia , ha detto che “ alla base della richiesta di decentramento dei poteri decisionali e impositivi, di maggiore responsabilizzazione politica e gestionale degli amministratori locali, vi è la comune opinione che l’offerta centralizzata dei beni pubblici ostacola l’adeguamento dei servizi alle esigenze locali e attenua l’associazione tra imposte pagate e prestazioni del servizio, rendendo un controllo dei cittadini-contribuenti meno efficace. L’attribuzione di un maggior potere normativo di imposizione alle Regioni non può però ridursi sono in un escamotage per alleviare il bilancio statale. La legge 133 rappresenta un passo verso la giusta direzione ma non ha portato a termine il processo di federalismo in quanto non ha eliminato la grande componente dei trasferimenti erariali per la costituzione del fondo sanitario. Per poter parlare di reale federalismo fiscale devono allargarsi le basi tributarie proprie delle Regioni, per esempio la cessione dei tributi erariali sui prodotti petroliferi, sui tabacchi, sulle assicurazioni etc. Oggi siamo di fronte ad un abbozzo di autonomia fiscale, perché la visione del reale federalismo è più avanzata: è cioè legata alla facoltà di poter spendere sul proprio territorio buona parte dei propri gettiti tributari. “
L’esigenza di coordinamento tra amministrazione regionale e statale per meglio salvaguardare l’interesse finanziario della regione, è stata sottolineata da Adriano Di Pietro dell’Università di Bologna. “Il coordinamento – ha affermato- costituisce la garanzia non solo per la migliore efficacia dei diversi modelli regionali, ma anche per l’imparzialità nell’attuazione dell’imposta. La difesa dell’imparzialità, che il precetto costituzionale impone, coinvolge tutti i diversi profili dall’attuazione della riscossione, alle indagini, al controllo ai diversi accertamenti. Il coordinamento è l’unico strumento in grado di conciliare l’unità impositiva, che è e rimane statale, alla pluralità di forme di attuazione, rimesse alle scelte regionali.”
Nel corso della Tavola rotonda il dirigente al bilancio e tributi della Regione Marche, Pietro Recchi ha evidenziato la scarsa attenzione mostrata dall’amministrazione centrale per gli aspetti più strettamente operativi, compresa una mancanza di informazioni precise ed attendibili che di fatto incidono sulla capacità di gestire l’imposta nelle sue giuste finalità: agire con interventi mirati sul territorio e sostenere il tessuto produttivo. Recchi ha quindi messo in discussione la reale portata innovativa dell’IRAP che è stata caratterizzata da un elevato grado di incompletezza. In questi primi due anni non si è verificato pertanto alcun “proficuo tirocinio” da parte delle Regioni, nonostante si sia arrivati al termine del periodo transitorio. Il dirigente regionale ha rivendicato” un atteggiamento più collaborativo, anche in termini di confronto operativo, dell’amministrazione centrale per poter acquisire tutto il Know how tributario gelosamente accentrato.” (ad’e)
|