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Percorsi tematici > Le corti delle Marche tra Tardogotico e Rinascimento

Nella Romagna, in Umbria e nelle Marche, dove si erano molto sviluppati i comuni, verso la fine del ‘300 si registra il fenomeno della presa di potere da parte di singole famiglie nobili, con il formarsi di signorie. Queste vennero per lo più riconosciute dalla Santa Sede tramite il titolo di vicariati apostolici, con l’obbligo per i signori di giurare fedeltà al papa e corrispondergli una somma di denaro. La dimensione di queste signorie è variabile, ma in genere è piuttosto ridotta. 

I signori sono spesso capitani di ventura, ovvero condottieri che guidano eserciti stipendiati alle loro dipendenze e accettano commesse militari dagli stati maggiori (Milano, Firenze, Venezia, Napoli). Molti di essi sfruttano il proprio potere militare per conquistare un dominio territoriale. È questo il caso di Francesco Sforza che fra 1433 e 1443 riesce a crearsi un proprio stato nella Marca d’Ancona, del quale rimarrà al fratello Alessandro la signoria di Pesaro. 

Una seconda fase nella storia delle signorie delle Marche è aperta dall’iniziativa presa da papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1458-1464) che riunisce Senigallia, Mondavio e Montemarciano, sottratte a Sigismondo Malatesta, dandole in vicariato al nipote Antonio Piccolomini. La novità è la costituzione di una signoria familiare per il pontefice, in grado di far fronte alla naturale brevità del dominio dei papi, a causa della non ereditarietà del potere. La politica nepotistica viene ripresa da Sisto IV Della Rovere (1471-1484). che conferisce ai nipoti cariche nell’amministrazione pontificia e nel 1474 affida al nipote Giovanni Della Rovere la signoria su Senigallia. Ai primi del ‘500 si registra il tentativo di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI, di creare una signoria personale cacciando i signori delle terre pontificie fra Romagna, Marche e Umbria. Il progetto riesce (fra gli altri il Valentino uccide il duca di Camerino) ma solo fino alla morte del pontefice, nel 1503. 

Il fenomeno delle signorie tende ad esaurirsi dal XVI secolo anche per la mutata politica pontificia, volta a rafforzare il potere centrale attraverso l’istituzione di governatorati e delegazioni e all’accentramento amministrativo dello stato della Chiesa. Il ritorno di Camerino alle dirette dipendenze della Santa Sede (1545) e in seguito la devoluzione del ducato di Urbino (1631) segnano la fine dell’epoca delle Signorie. 

Si analizzano in questo testo solo alcune fra le signorie del ‘300 e del ‘400, per mettere in luce le peculiarità e l’apporto da esse dato allo sviluppo dell’arte.

A San Severino e a Fabriano, intorno alla fine del ‘300, si sviluppano due corti che, artisticamente, aderiscono al fenomeno artistico del tardogotico o gotico cortese, cioè di quello stile diffusosi in tutte le corti europee fra gli ultimi vent’anni del ‘300 e i primi decenni del secolo successivo, caratterizzato dall’eleganza dei personaggi effigiati, vestiti alla moda delle corti, dall’attenzione alla raffigurazione degli elementi naturali, animali e vegetali, al gusto per l’oro e le gemme (sia nelle oreficerie che nelle immagini dipinte o scolpite). Proprio in ambienti di corte anche nelle Marche emergono figure di artisti di rilievo internazionale.

San Severino e gli Smeducci (fino al 1426)

La signoria degli Smeducci, capitani di ventura, su San Severino e il suo territorio, è lo sfondo sul quale si svolge la vicenda dei Salimbeni, Lorenzo (doc. 1400-1416) e il fratello Jacopo, fra i maggiori esponenti del Tardogotico. L’opera di questi maestri si può paragonare, in base allo stile, a opere prodotte in Boemia e nel nord Italia, conosciute probabilmente attraverso disegni, miniature, arazzi, altaroli portatili arrivati anche nella piccola corte degli Smeducci.

Il Trittico con il Matrimonio mistico di Santa Caterina (San Severino, Pinacoteca civica) è la prima opera nota di Lorenzo, che la firma e data 1400, e l’unica a noi nota su tavola. Ha la struttura del trittico a sportelli richiudibili. Nel retro delle ante sono dipinti San Luca Evangelista e La Pietà fra i simboli della Passione di Gesù. Fra gli elementi tardogotici, nuovi rispetto alla pittura trecentesca, ci sono il prato fiorito sul quale poggiano i santi, l’abito alla moda di Santa Caterina, i panneggi a pieghe frastagliate, gli abbinamenti dei colori, il contrasto fra le figure raffinate e l’espressività violenta della Pietà sul retro. Nonostante il loro linguaggio sia così moderno, i Salimbeni operarono in un ambito molto ristretto. Molte loro opere si trovano a San Severino, e le tappe più lontane del loro percorso sono Perugia e Urbino. Fra le opere sanseverinati si distinguono gli affreschi con Storie di San Giovanni Evangelista (San Severino, Pinacoteca civica), già nel duomo Vecchio, ambientate contro architetture fantasiose, dalle fragili forme gotico fiorite, su sfondi decorati a piastrelle come nelle miniature francesi. Il gusto per la narrazione porta i pittori a mostrare episodi della vita quotidiana, come le zuffe o i giochi dei bambini, una balia che allatta, i contadini che portano il raccolto in città.

Fabriano e i Chiavelli (1378-1435)

In parallelo all’esperienza quasi tutta circoscritta alle Marche dei Salimbeni, si svolge quella proiettata all’ambito nazionale di Gentile da Fabriano. Eppure anche per Gentile fu decisiva la presenza a Fabriano di una signoria, quella dei Chiavelli, costituita da capitani di ventura al soldo di potenze come la Milano dei Visconti o Venezia. La prima opera nota di Gentile, la Madonna degli alberelli (Berlino, Staatliche Museen), proveniente da Fabriano, mostra come l’artista si fosse formato fuori Fabriano, precisamente presso la corte viscontea di Pavia. Da quell’ambiente Gentile deriva difatti i rossi cherubini musici appollaiati sugli alberelli, la descrizione delle piante, la tecnica stessa del puntinato che gli serve a fare gli incarnati delicati e a restituire la materia delle stoffe. Ha invece una radice locale la lavorazione dell’oro, di cui Gentile è maestro assoluto, portando nella pittura varie tecniche dell’oreficeria. 

Per Chiavello Chiavelli presente, così come Gentile, a Venezia intorno al 1410, l’artista esegue nella città veneta e spedisce via mare il Polittico di Valle Romita (Milano, Pinacoteca di Brera) destinato all’eremo francescano di Valleromita, luogo di sepoltura scelto dallo stesso Chiavello. Il polittico ha al centro l’Incoronazione della Vergine, tema diffuso soprattutto a Venezia, ambientato su un cielo totalmente dorato; a lato quattro santi (Girolamo, Francesco, Domenico, Maddalena) sul prato fiorito. Sopra i pannelli maggiori quattro scene fra cui le Stimmate di San Francesco e San Giovanni Battista nel deserto; infine una Crocifissione. L’opera è stata importante per gli artisti veneziani che poterono vederla prima che fosse mandata nelle Marche, contribuendo a mutare lo stile dei pittori veneziani dalla lunga tradizione bizantineggiante verso forme più naturalistiche e meno schematiche. 

Camerino e i da Varano

Un discorso più approfondito merita la signoria dei da Varano di Camerino per vari motivi: la durata della signoria, dalla metà del ‘200 al 1545; l’estensione territoriale e l’importanza economica del ducato, posto a cavallo degli Appennini e caratterizzato da una vocazione manifatturiera (stoffe, carta) e mercantile; la capacità di trasformarsi nel ‘400 in una corte rinascimentale, analoga a quella di Urbino. Fattori contingenti, come la serie di terremoti che colpirono la città nei secoli e i mutamenti politico-economici dell’area, portarono Camerino a decadere dal ‘600 in poi.

L’azione dei duchi si percepisce ancora oggi sia nella città che nel territorio. I Varano impiantarono ad esempio un sistema difensivo costituito da rocche, torrioni e punti di avvistamento di cui restano numerose tracce, spesso singolarmente armonizzate con il paesaggio. Fra esse la rocca varanesca che domina la via di accesso a Camerino da sud-est. Accanto alle rocche i da Varano costruirono residenze suburbane, come il castello di Beldiletto, decorato con un  Ciclo di cavalieri che mostra la passione per il mondo cavalleresco propria delle corti tardogotiche. 

Dalla metà circa del secolo, a Camerino si sviluppa una vera e propria scuola pittorica con artisti locali che si spostano verso i centri di elaborazione delle novità, come Firenze, Urbino, Ferrara e Padova. La figura più carismatica appare quella di Giovanni Angelo di Antonio da Bolognola, documentato in rapporti di familiarità sia con i da Varano che con i Medici a Firenze. La sua Annunciazione di Spermento (Camerino, Pinacoteca civica) è considerata il manifesto del ‘400 camerinese: la pala è divisa in due parti. In basso un  unico ambiente costruito in prospettiva con la figura della Vergine e dell’angelo e, più indietro, i committenti, membri della famiglia Varano. Nella lunetta, sempre visti in prospettiva, ci sono il Cristo morto sorretto da angeli e i santi Francesco e Antonio. Dietro Gesù fa capolino il pittore, che si autoritrae con straordinaria forza espressiva. Lo spazio costruito in modo rigoroso, l’uso della luce, la geometrizzazione delle forme sono gli elementi rinascimentali di questo dipinto e della scuola camerte. Fra gli altri esponenti citiamo Giovanni Boccati, attestato a Perugia (dove ottiene la cittadinanza per i meriti pittorici) Firenze e Padova. Nei suoi dipinti mostra di conoscere, oltre ai modelli rinascimentali, dipinti fiamminghi (l’uso della luce e la resa delle stoffe). Il polittico di Belforte del Chienti di Boccati (1468) è un esempio prezioso di un grande complesso ancora integro (compresa la cornice), tutto giocato sulla monumentalità delle figure allungate e solenni.

Il ‘400 a Camerino ha visto inoltre una straordinaria fioritura della scultura lignea, importante sia per la qualità, che denota un forte scambio di modelli e forme con la pittura e la scultura in pietra, che per la diffusione delle opere, molte con soggetti ricorrenti (come San Sebastiano  da porre in relazione con le frequenti epidemie di peste). Fra gli esemplari più antichi, databili entro la metà del ‘400, citiamo la grande Madonna della Misericordia del duomo, con la sua ricchissima policromia originale (compreso l’oro). Oggetto di un recente approfondimento è la figura di uno scultore, il “maestro della Madonna di Macereto”, autore appunto della Madonna col Bambino del santuario di Macereto presso Visso, attivo dal 1470 al 1500 circa e identificabile forse con Domenico Indivini da San Severino. La sua opera è caratterizzata dall’equilibrio fra la resa realistica delle figure e la sacralità che sanno trasmettere, proponendosi come oggetti di culto. Fra tutte citiamo la straordinaria Santa Lucia da Varano (oggi a Camerino, Museo diocesano) dall’ovale perfetto, l’abito alla moda con dettagli in stoffa vera e il raccapricciante coltello che le attraversa il collo a ricordarne il martirio.

A partire dagli anni ’80, a fronte del venir meno delle personalità artistiche locali, giunge a Camerino Carlo Crivelli, eseguendovi alcune delle sue opere più importanti, di cui oggi purtroppo non resta nulla in loco. Lo stile raffinato e preziosissimo di Crivelli, che tratta la luce con l’abilità di un maestro fiammingo, incontra un grande successo guadagnando al pittore le maggiori commissioni pubbliche per grandi pale d’altare e polittici nelle chiese degli Ordini mendicanti. Crivelli studia però a sua volta la pittura prospettica dei camerinesi, introducendo nel suo repertorio le pale unificate in alternativa dei polittici. Fra esse la Consegna delle chiavi (Berlino, Staatliche Museen) dalla chiesa francescana di San Pietro in Muralto. L’opera più famosa è la preziosissima Madonna della candeletta (Milano, Brera), parte centrale del trittico per l’altare maggiore della cattedrale, caratterizzata da una vera e propria esibizione di virtuosismi ottici (frutta, fiori, stoffe, veli, effetti di riflessione e trasparenza) fino al trompe l’oeil della candeletta votiva attaccata al trono di Maria, che ha dato il nome tradizionale al dipinto.

BIBLIOGRAFIA 

- V. Sgarbi, a cura di, I pittori del Rinascimento a Sanseverino, catalogo della mostra (Sanseverino Marche 2001), Milano 2001.

- A. De Marchi- M. Giannatiempo López, Il Quattrocento a Camerino.  Luce e prospettiva nel cuore della Marca, catalogo della mostra (Camerino 2002), Milano 2002.

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- M. Paraventi, a cura di, I da Varano e le arti a Camerino e nel territorio. Atlante dei beni culturali di epoca varanesca, Recanati 2003.

- R. Casciaro, a cura di, Rinascimento scolpito. Maestri del legno tra Marche e Umbria, catalogo della mostra (Camerino 2006), Cinisello Balsamo 2006.

- L. Laureati- L. Mochi Onori, a cura di, Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, catalogo della Mostra (Fabriano 2006), Milano 2006.

- M. Minardi, Lorenzo e Jacopo Salimbeni: vicende e protagonisti della pittura tardogotica nelle Marche e in Umbria, Firenze 2008.

Legenda

Sede museale
Museo e Pinacoteca Diocesana "G. Boccanera" - CAMERINO
 
Polo museale di San Domenico - Museo civico e archeologico – Pinacoteca civica “Girolamo di Giovanni” - CAMERINO
 
Pinacoteca Comunale "P. Tacchi-Venturi" - SAN SEVERINO MARCHE
 
Galleria Nazionale delle Marche - URBINO


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