Text/HTML

Call us now
+123 456 7890
15/12/2000

OLIVICOLTURA. ALL'ASSAM SI DISCUTE DI QUALITA' E TIPICITA'

Si è parlato di olivicoltura oggi all’ASSAM, presentando i risultati di un Progetto finanziato con i fondi comunitari e che punta alla riqualificazione del settore produttivo per arrivare ad una caratterizzazione dell’olio, a sviluppare l’olivicoltura da mensa (si pensi alla prestigiosa oliva tenera marchigiana), a studiare i problemi relativi allo smaltimento dei reflui e l’introduzione di metodologie a basso impatto ambientale. Insomma si è parlato di qualità, perché su questo si è deciso di investire anche se la produzione, dal punto di vista quantitativo, non è rilevante. Molti i contributi di funzionari dell’Assessorato Agricoltura e dell’ASSAM, delle Università, non solo di Ancona, ma anche di Viterbo, di Bologna e di Bari con cui esiste un rapporto di collaborazione. Diversi gli aspetti trattati. La difesa dalle avversità per garantire sia la produzione che la qualità (si pensi ai danni del gelo o a quelli che può fare la mosca dell’olivo). La tecnologia da adottare per una produzione di qualità, affrontando quelli che sono ritenuti i punti critici nelle fasi di raccolta, frangitura e gramolatura e in quella successiva della conservazione (su questi aspetti si è soffermato Emilio Romagnoli): le olive devono essere sane, integre e fresche (già dopo 24 ore possono comportare danni all’olio), la lavorazione è particolarmente delicata, vanno rispettati parametri fisici e tempi, che cambiano a seconda delle situazioni, insomma la molitura è una vera e propria arte. Un olio, se conservato alla temperatura giusta, intorno ai 15° e al buio, può essere ottimo anche dopo due anni, diversamente prende dei vizi, che lo trasformano totalmente. Importante l’aspetto della caratterizzazione dell’olio, sono principalmente le varietà, insieme alle condizioni di clima e di terreno, a tipicizzarlo ed è per questo che lo studio su quelle autoctone è stato fatto in maniera meticolosa per recuperare il patrimonio esistente, rivitalizzare le varietà minori, spesso trascurate da scelte poco oculate e sostituite con cultivar ritenute più produttive, ma diffuse su tutto il territorio nazionale. Studi che – su questo è intervenuta Barbara Alfei – hanno consentito di descrivere il comportamento agronomico delle principali varietà locali e di caratterizzarne la qualità e tipicità. Infatti nel disciplinare messo a punto per la DOP (la richiesta è già stata formalizzata) si prevede la presenza di almeno il 40%, che può arrivare al 60% nel caso delle aree tipiche, di varietà autoctone (sono 19 fino ad ora quelle scoperte). E Piero Padovani è intervenuto sul disciplinare, che fissa le caratteristiche dell’olio d’oliva extra-vergine: ci sono elementi che sono fisici, come l’acidità, e altri organolettici: a questo proposito l’ASSAM si è dotata di un apposito Panel, cioè gruppo di assaggiatori, che effettua dei test - in una sala appositamente allestita e unica nella regione - per valutare le caratteristiche sensoriali (fruttato, dolce…), gruppo che ha avuto il riconoscimento da parte del COI (Consiglio Oleicolo Internazionale). Inutile dire che sull’incontro ha aleggiato la notizia di ieri, cioè la Sentenza della Corte di Giustizia europea secondo cui non viene messa in discussione la normativa comunitaria (la Corte ha respinto un ricorso dell’Italia): per essere olio d’oliva italiano è sufficiente che le olive vengano lavorate nel nostro Paese, mentre non assume alcuna importanza la zona di produzione, che può essere anche estera, meno che per l’olio d’oliva extra-vergine DOP (Denominazione di Origine Protetta). (e.r.) I DATI La coltivazione copre circa 7.300 ettari: il 40% si trova nell’ascolano, il 30% nel maceratese. L’anno scorso, annata eccezionale, sono stati prodotti oltre 40 mila ettolitri di olio extravergine, mentre generalmente ci si attesta intorno ai 30 mila. UN CENNO STORICO Nonostante questi dati l’olivo colora il paesaggio agricolo marchigiano e la presenza di molti frantoi, anche se in buona parte dimessi, testimonia un “passato glorioso”. Infatti si trovano tracce della coltivazione dell’olivo in epoche lontanissime, già il romano Plinio ne parlava nei suoi scritti; in epoca medioevale, intorno al 1220, le navi marchigiane che approdavano alla riva di Ferrara dovevano versare un pedaggio (detto il ripatico) in olio: la documentazione storica precisa che si trattava di un olio di qualità superiore, tanto che, a Venezia, veniva tenuto rigorosamente separato da quello di produzione di altre regioni. Successivamente arriva anche a Firenze e non solo, perché la produzione era tale da poterla esportare e, successivamente, nelle Marche vengono molite le olive di tutto lo Stato pontificio.