Cultura

Percorsi tematici > La vita e la morte: riti e corredi funerari. Dalla pre-protostoria all'età romana

Fin dalla preistoria nel territorio della regione sono piuttosto ben documentate aree destinate alla sepoltura e modalità sepolcrali di tipo diverso, che, tenendo conto anche dei materiali di corredo che accompagnano quasi sempre le deposizioni funerarie, permettono di ricostruire con un buon margine di sicurezza anche i riti connessi. Solitamente le necropoli, come documentato in genere per il mondo antico, sono disposte al margine delle aree abitate cui fanno riferimento. É stato però osservato che in molti casi si sovrappongono anche ad aree ove in epoche precedenti si estendevano invece abitati, come accertato per le necropoli di Pianello, Novilara, Matelica, Ancona.

Lo scavo assai recente della necropoli di epoca eneolitica  (o età del rame –  aes in latino –  compresa  fra IV e III millennio a.C.) in località Fontenoce di Recanati, ove sono stati indagati anche i resti di un insediamento di epoca neolitica (letteralmente età della “pietra nuova”, dal greco neos, nuovo e lithos, pietra, compresa all’incirca fra VI e IV millennio a.C.) e un abitato di epoca eneolitica, rivela interessanti particolari anche in relazione ai riti di deposizione (area Guzzini, in località Fontenoce, Recanati). I defunti, inumati e deposti in posizione rannicchiata sul fianco destro, sono generalmente accompagnati da uno o due vasi di corredo, da punte di freccia di selce o da punte di osso; le deposizioni infantili sono invece le sole ad avere restituito oggetti di ornamento, braccialetti e collane, oltre a vasi miniaturizzati di valore simbolico; valore simbolico sembra avere anche la rottura intenzionale di anse e prese: forse indizio di riti compiuti al momento della sepoltura; sembrano inoltre alludere a una offerta sacrificale in onore del defunto i resti di un suino rinvenuti in una delle grotticelle.

L’inizio delle fasi finali dell’età del bronzo (fine XIII – X sec. a.C.) segna in buona parte della penisola, esclusivamente per quanto attiene le fogge ceramiche ed i rituali funebri, un momento di omogeneità molto ben documentata, caratterizzata dal ricorso costante all’incinerazione del cadavere, i cui resti venivano poi raccolti entro vasi di terracotta opportunamente sistemati entro pozzetti circolari. Queste aree sepolcrali sono state efficacemente definite, negli ambiti dell’Europa centrale e dell’area a Nord delle Alpi ove il fenomeno è analogamente attestato, “campi di urne” (Urnenfelder o Urnfield). Osservata in buona parte del territorio peninsulare e nella porzione NE del distretto siciliano, questa fase viene generalmente identificata con il termine “protovillanoviano”. In area marchigiana una delle necropoli più significative è quella individuata a Pianello di Genga , nella quale le ceneri dei defunti sono state raccolte entro urne di forma biconica (Ancona, Museo Archeologico Nazionale), che talvolta conservano anche oggetti di ornamento personale identificativi del sesso e del ruolo del defunto: alcuni dei manufatti rinvenuti all’interno delle urne cinerarie mostrano segni inequivocabili di esposizione al fuoco, il che fa pensare che fossero indossati dal defunto sul rogo funebre. Altri oggetti, quali i rasoi, identificativi di defunti di sesso maschile, pur rinvenuti all’interno del cinerario, devono però esservi stati deposti dopo l’incinerazione del corpo, giacché non recano tracce di combustione. I materiali rinvenuti e la disposizione delle urne indicano che la necropoli di Pianello è stata utilizzata da gruppi diversi legati da vincoli di parentela. Articolazione per gruppi familiari può forse riconoscersi, almeno per alcuni settori, nelle necropoli di Fermo, che sono ugualmente ad incinerazione, ma di epoca più tarda e caratterizzate da numerosi elementi propri della cultura cosiddetta villanoviana: il precedente diretto ed immediato di quella etrusca. Anche in questo caso le tombe più antiche, documentate a partire dal IX sec. a.C. in contrada Misericordia, hanno restituito vasi di forma biconica usati quali cinerari (Fermo, Museo Archeologico), sistemati entro buche o pozzetti. Nella necropoli, al pari di quanto si osserva per diverse deposizioni dell’area etrusca meridionale, alcune delle tombe maschili più eminenti erano contraddistinte da un elmo in lamina di bronzo con alta cresta (Ancona, Museo Archeologico Nazionale), che poteva alludere, oltre che al sesso del defunto, anche al ruolo avuto in vita nell’ambito della sua comunità. Indicativi del sesso in questa stessa fase sono gli oggetti di ornamento personale che identificano invece le tombe femminili, come fibule, armille, pettorali (Ancona, Museo Archeologico Nazionale) e, in epoca successiva, gli strumenti per la filatura e la tessitura: fuseruole, rocchetti, pesi da telaio.

A partire dall’VIII sec. a.C. in tutto il territorio si ricorre, in maniera piuttosto generalizzata, alla pratica dell’inumazione entro fosse più o meno segnalate. A caratterizzare in modo assai costante le sepolture di area picena, soprattutto a partire dal VII-VI sec. a.C., è l’assenza dei resti ossei. Ciò ha indotto talvolta ad ipotizzare che alcune delle fosse fossero dei veri e propri cenotafi,ovvero sepolture che conservano soltanto il corredo destinato al defunto, sepolto invece altrove, lontano dalla propria terra di origine. Sepolture di questo tipo sono documentate a Fabriano, Tolentino, Matelica, Pitino di San Severino. In quest’ultima necropoli in particolare è attestata una sepoltura entro un circolo di pietre, intorno alla quale se ne dispongono altre, quasi ad indicare relazioni, presumibilmente di natura parentale, fra i titolari delle tombe.

Gruppi per i quali la disposizione delle sepolture induce a riconoscere relazioni familiari sono documentati del resto anche nella necropoli di Novilara, nel pesarese, utilizzata tra  VII e VI sec. a.C. Le tombe a fossa, alcune delle quali ricomprese infatti entro una sorta di recinto, talvolta indicate da segnacoli di pietra, conservano resti delle inumazioni in posizione rannicchiata. Le sepolture di Novilara restituiscono inoltre elementi particolarmente significativi, che, se da un lato riconducono ai costumi propri delle consuetudini sepolcrali che connotano i gruppi piceni anche in epoca successiva, quale il kothon (Pesaro, Museo Oliveriano), forse legato a rituali di purificazione, dall’altro segnalano efficacemente i rapporti diretti che questa comunità stringe probabilmente per via marittima con quelle dell’Italia meridionale, e segnatamente del territorio pugliese, mediante l’acquisto di vasi “esotici” provenienti, oltre che dall’area bolognese, anche dalla Daunia, corrispondente in antico a buona parte dell’attuale comparto nordorientale della Puglia (Pesaro, Museo Oliveriano). 

L’arrivo di genti di etnia diversa, quali i Celti, stabilitisi lungo la fascia costiera entro un territorio che sarà infatti denominato ager Gallicus (territorio dei Galli), è riaffermato anche dai manufatti che costituiscono i corredi di questi gruppi di provenienza transalpina: restando costante il ricorso all’inumazione, comincia ad essere documentato lo spadone di ferro (machaira), che nelle tombe maschili di genti galliche (dedite, come riferito dagli autori antichi, al mercenariato) viene ritualmente ripiegata, e dunque defunzionalizzata, così che, non potendone più disporre il legittimo proprietario, ne venga definitivamente precluso l’utilizzo.

Con l’età romana si ricorre spesso anche a pratiche incineratorie: il punto destinato al rogo funebre o ustrinum diventa in alcun casi il luogo stesso della sepoltura, come ben testimoniato dalla necropoli meridionale di Suasa. In altri casi, invece, le ceneri vengono raccolte entro urne di travertino o marmo. Talvolta insieme ai resti cremati nell’urna si mettono anche gli oggetti di corredo, generalmente monete o porta profumi di vetro, le cui deformazioni imputabili all’azione del fuoco mostrano che erano stati posti sul rogo insieme al cadavere.

Le sepolture, come già in epoca precedente, possono essere inoltre indicate da segnacoli, con ogni probabilità parzialmente interrati, che recano spesso il nome del (o dei) defunto, nonché l’effige talvolta del tutto priva di pretese ritrattistiche (Fossombrone, Museo Vernerecci). Non di rado si ricorre inoltre all’impianto di strutture piuttosto articolate e monumentali, che si possono ritenere vere e proprie tombe di famiglia (Fossombrone, Museo Vernerecci): in queste sono documentati sia il rito incineratorio che inumatorio, a testimonianza dell’assoluta libertà di scelta delle modalità di sepoltura anche all’interno dello stesso gruppo familiare.  

 

BIBLIOGRAFIA: 

- D.G. Lollini,  La civiltà picena, in “Popoli e Civiltà dell’Italia Antica”, V, Roma 1976, pp. 109-195.

- G. Gori, Il Museo Vernarecci di Fossombrone. Sezione archeologica, Pescara 2002.

- G. De Marinis (a cura di), Arte romana  nei musei archeologici delle Marche,  Ancona 2005.

- M.T. Di Luca (a cura di), Il lucus Pisaurensis, Pesaro 2004.

Legenda

Sede museale
Museo Archeologico “A. Vernarecci” - FOSSOMBRONE
 
Museo Archeologico Oliveriano - PESARO
 
Palazzo dei Priori - FERMO
 
Museo Archeologico Nazionale delle Marche - ANCONA


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