Cultura

Percorsi tematici > Artisti stranieri nelle Marche fra Quattrocento e Seicento

Grazie all’apertura verso il mare, le Marche sono state caratterizzate da frequenti contatti di natura commerciale e culturale sia con il nord Europa (lungo la direttrice che dall’Inghilterra e i Paesi Bassi scende dal corso del Reno per le Alpi, e da Milano alla Toscana arriva ad Ancona), sia con i centri del bacino mediterraneo, costituendo spesso la prima tappa per la penetrazione di artisti, opere d’arte, modelli figurativi. Soprattutto dal ’400 è possibile documentare la presenza di artefici stranieri, oppure di opere giunte attraverso canali commerciali in tutto il territorio regionale. 

Artisti tedeschi e nordici

Un caso importante è costituito dalla produzione di sculture legate a particolari temi devozionali e a determinate tecniche e caratteri stilistici che appaiono prodotte in larga misura proprio da artefici e botteghe nordiche, specialmente tedesche. Si tratta dei Vesperbild (immagine del vespro) cioè dell’immagine della Madonna che piange il figlio morto, disteso sulle sue ginocchia, diffuse in tutta la regione in numerosi esemplari realizzati in tecniche diverse: dalla pietra, alla terracotta, allo steinguss o “stucco duro”, che consiste nel colare una pasta entro stampi per ottenere esemplari seriali. Le sculture venivano successivamente rifinite e infine dipinte. I vesperbild tedeschi sono caratterizzati dall’insistenza sull’aspetto sofferente e sulle ferite del corpo di Cristo, mentre il volto e l’espressione della Vergine sono improntati a un dolore patetico; l’obiettivo è ottenere un forte coinvolgimento emotivo degli osservatori, impressionando lo spettatore con lo spettacolo del sangue e delle piaghe e muovendolo a provare compassione per il dolore di Maria. Il successo di simili oggetti è attestato dal numero di esemplari conservati e dall’esistenza di repliche opera di artisti locali, identificabili spesso per l’attenuazione degli aspetti più crudi dei modelli. Nonostante nei documenti si trovino spesso notizie di maestri “teutonici” (così vengono definiti genericamente i tedeschi) non è facile trovare un legame fra i nomi e le opere esistenti. Un’eccezione è rappresentata dal Vesperbild di Tolentino (chiesa di San Catervo) collegabile al nome dello scultore Enrigo di Enrigo da Basilea, documentato in città intorno alla metà del ’400. Un recente restauro ha riportato la scultura, in precedenza tinta di nero, ai colori originali. Allo stesso scultore si può probabilmente riferire anche un Crocifisso in legno nella stessa chiesa, inseribile all’interno della tipologia definita del “crocifisso gotico doloroso”, praticata soprattutto da scultori tedeschi attivi in Italia. Caratteri distintivi di questi crocifissi sono i dettagli dell’anatomia del corpo, con lo sterno sporgente, la pelle dei piedi e delle mani sollevata dal chiodo, il sangue che sgorga copioso dalle ferite: per accentuare il realismo di tali immagini gli scultori ricorrevano anche a meccanismi che consentivano di muovere la lingua e la bocca, nonchè a inserti polimaterici (spago per le vene, stoppa o capelli veri per le capigliature, in alcuni casi perfino unghie vere). Esemplificativo di questa tipologia è il Crocifisso del duomo di Camerino, databile alla seconda metà del ’400, opera di un anonimo maestro tedesco. 

Unica nel suo genere è invece la facciata in terracotta della collegiata di San Ginesio realizzata nel 1421 dallo scultore bavarese Enrico “de Fapico”: gli elementi in terracotta formano una sorta di pala d’altare gotica che in origine doveva essere completata da statue invetriate e colorate poste dentro le nicchie. 

Fra gli artisti nordici attivi nel ’400 un posto di rilievo merita Pietro Alemanno, originario di Gotweich in Austria, come risulta dall’iscrizione posta nel polittico datato 1472 proveniente da San Francesco a Monterubbiano (smembrato, oggi in parte conservato a Milano, Pinacoteca di Brera). L’artista si stabilì ad Ascoli, dove esisteva una piccola colonia tedesca che comprendeva anche stampatori; qui entra in rapporto con Carlo Crivelli, di cui dovette essere per un certo periodo un collaboratore diretto, come dimostrano i due Trittici di Valle Castellana (Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica) eseguiti insieme da Crivelli e Alemanno. In seguito Pietro lavora come maestro autonomo, riproponendo tuttavia gli schemi e le soluzioni formali di Crivelli (fedeltà al polittico, figure aggraziate elegantemente vestite, descrizione di stoffe e gioielli, fiori e frutta dal valore simbolico, sfondi d’oro lavorati) mantenendo comunque una sua identità e riconoscibilità. La Madonna della Misericordia della collegiata di San Ginesio fu dipinta nel 1485 come voto della comunità ginesina in occasione di una epidemia di peste.

L’anno prima Alemanno aveva ricevuto un importante incarico per la sua città: dipingere un’Annunciazione da collocare nella cappella del palazzo dei Capitani del Popolo di Ascoli (Ascoli Piceno, Pinacoteca civica) per celebrare la concessione da parte di papa Sisto IV della Libertas ecclesiastica, serie di privilegi amministrativi che garantivano una maggiore autonomia della città dal potere centrale. La data della concessione, il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, è alla base della scelta del tema: l’anno dopo gli Anziani commissioneranno anche a Carlo Crivelli un dipinto analogo, destinato questa volta alla chiesa ascolana della SS. Annunziata dei Francescani Osservanti (oggi Londra, National Gallery). 

I documenti attestano come Alemanno, esponente di una minoranza di immigrati in un’Ascoli cosmopolita come quella del ‘400, venisse frequentemente chiamato a lavorare per le comunità forestiere, spesso riunite in confraternite e patrone di altari nelle chiese: per esempio dai Lombardi, dagli Schiavoni (polittico già nella chiesa della Carità, oggi in Pinacoteca civica) e dagli Albanesi. Per l’altare della comunità albanese nel duomo Alemanno aveva eseguito nel 1482 un polittico a 5 scomparti di cui rimane la figura di Santa Veneranda o Venere (Ascoli Piceno, Pinacoteca civica), protettrice degli albanesi.

La corte internazionale di Urbino

Caratteri del tutto eccezionali nella considerazione del tema della presenza di artisti e opere straniere nelle Marche presenta la vicenda della corte di Federico da Montefeltro (1444-1482) a Urbino. L’eccezionalità sta nella capacità del duca di scegliere artisti portatori delle maggiori novità a livello europeo, chiamati appositamente a Urbino per fornire contributi innovativi. 

Luciano Laurana, dalmata, entra in contatto con Alberti, che probabilmente a sua volta lo raccomanda a Federico; nel 1464 il duca gli affida la direzione dei lavori a palazzo ducale, condotti fino alla partenza da Urbino, nel 1472. A Laurana si deve la progettazione del cortile d’onore, fra le maggiori realizzazioni dell’architettura del rinascimento per l’impiego di rigorosi rapporti matematici nelle misure e di forme classiche (archi, colonne con capitelli corinzi, la scritta in lettere capitali latine celebrativa del duca), della facciata dei torricini, stretta fra le due alte torri dal sapore nordico, con le tre logge che imitano l’arco di trionfo, e vari ambienti interni. A lui soprattutto va il merito di aver organizzato il palazzo su scala urbanistica, raccordandolo alla città e facendone il nuovo perno della forma urbana, tanto da suggerire nel ’500 a Baldassarre Castiglione la definizione di Urbino come “città in forma di palazzo”. Un altro dalmata, lo scultore Francesco Laurana, lavora per la corte scolpendo il busto in marmo di Battista Sforza, moglie di Federico da Montefeltro (Firenze, Museo Nazionale del Bargello). Il busto rientra in un genere molto diffuso a Firenze e nelle corti rinascimentali che imitava i modelli antichi e conferiva solennità alla persona effigiata.

L’eccezionalità dell’apertura verso l’esterno della cultura urbinate è provata dalla chiamata, ad opera dello stesso Federico, di maestri di cultura fiamminga, come Giusto di Gand e Pedro Berruguete. L’amore per la pittura fiamminga, caratterizzata da raffinati effetti di luce e dalla descrizione dei più minuziosi dettagli, si era diffuso in Italia dalla metà circa del ’400, grazie ai contatti di natura soprattutto commerciale fra Italia e Fiandra. Dipinti fiamminghi venivano collezionati o commissionati direttamente nelle Fiandre dai mercanti ivi residenti. Federico è però fra i primi a chiamare alla propria corte degli artisti che così possono entrare in contatto diretto con i maestri italiani. Giusto di Gand arriva intorno al 1472 e dipinge la pala con la Comunione degli Apostoli per l’altare della Confraternita del Corpus Domini in duomo (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche). La pala ha un impianto architettonico inconsueto per un maestro fiammingo, di norma meno attento all’architettura che alla resa della figura umana. Cristo e gli apostoli sono monumentali figure racchiuse entro vesti dalle pieghe sfaccettate, simili a sculture. Sullo sfondo a destra si vede Federico accompagnato da alcuni dignitari e dal piccolo figlio Guidubaldo in fasce. Giusto di Gand e il pittore spagnolo Pedro Berruguete eseguono inoltre le effigi degli Uomini illustri collocati nella parte alta delle pareti dello studiolo di Federico, il piccolo ambiente destinato allo studio e al riposo intellettuale del duca, interamente rivestito di pannelli lignei intarsiati con immagini di libri, strumenti musicali. I personaggi scelti seguono un programma umanistico celebrativo delle lettere e della cultura che comprende personaggi antichi, romani e biblici (come Mosè di Giusto di Gand) fino al ’400, religiosi e laici, dediti alla filosofia e alle scienze (come il giurista Bartolo da Sassoferrato di Berruguete). A Berruguete Federico affida la sua immagine forse più emblematica, il Ritratto con il figlio Guidobaldo da Montefeltro (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche) dove il duca si fa ritrarre con l’ermellino regale sopra l’armatura, decorato da tutte le onorificenze conquistate nella sua carriera e dai vari bastoni del comando, in atto di leggere un pesante codice riccamente rilegato, mentre il figlio, vestito come un principe, con corona e scettro, attesta la continuità dinastica della casata. A Berruguete spetta il merito di aver saputo restituire la realtà sia della psicologia del duca e del figlio che delle vesti preziose, che stanno a testimoniare, non meno eloquentemente delle pose e degli attributi, il potere dei Montefeltro e la sua legittimità.

Legenda

Sede museale
Pinacoteca Civica - ASCOLI PICENO
 
Galleria Nazionale delle Marche - URBINO


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