Cultura

Percorsi tematici > Il culto. Dalle divinità e i materiali votivi di epoca preromana alla "religione" romana

Fin dalla preistoria tutte le società hanno espresso un bisogno di spiritualità in modi che, pur fra molte differenze, rivelano tratti comuni, costituiti, ad esempio, da alcuni oggetti devozionali.

Quanto alle epoche più antiche si sa che gli elementi naturali (come l’acqua) erano venerati come divinità e che le cerimonie avevano spesso luogo entro caverne, come si osserva in molte grotte della gola del Sentino. Non si dispone, però, di elementi riferibili con sicurezza ad esse. Tuttavia è probabile che a una qualche forma di culto siano da ricondurre  i reperti conservati presso il Museo Archeologico di Ancona: il "Ciottolo di Tolentino" datato al Paleolitico superiore (arco di tempo compreso fra 35000 e 10000 anni fa), recuperato nel 1884 in loc. S. Egidio, che reca graffita su una faccia la figura di una donna, di cui sono evidenziati i seni ed il triangolo pubico e, sull’altra, un profilo di un muso animale, e la "Venere di Frasassi", recuperata a Genga, loc. Frasassi,che per lo stile e le proporzioni rientra nel novero delle cosiddette "Veneri paleolitiche" che lasciano intravedere un ruolo di spicco della donna nella cosmologia e nei rituali, forse in relazione alla sua funzione riproduttiva.   

A forme di culto praticate nell’ambito domestico sembrano riferibili piccole raffigurazioni in terracotta di animali domestici (secondo alcuni bovidi, secondo altri ovi-caprini), recuperate in diversi abitati delle fasi più avanzate dell’età del bronzo finale (XII-X sec.a.C.): a Fontevecchia di Camerano, in località Fonte Marcosa di Moscosi di Cingoli o sul Colle dei Cappuccini di Ancona, dal quale provengono anche frammenti di due manufatti in terracotta a forma di piccole focacce. Le figure animali – datate tra XI e X sec. a.C. – e le riproduzioni di focacce vengono interpretate come offerte votive propiziatorie.  

Una peculiare manifestazione devozionale è efficacemente documentata dal deposito di oggetti di terracotta (soprattutto forme vascolari), miniaturizzati, per lo più del VI sec. a.C. ma alcuni dei quali potrebbero essere anche più antichi, rinvenuti nel 1988 sul colle di S. Andrea, a Cupra Marittima (Ancona, Museo Archeologico Nazionale), nel quale è da riconoscere la chiara volontà di marcare, sacralizzandolo, il limite tra lo spazio destinato ai vivi, cioè l’abitato vero e proprio, e quello destinato ai morti, la necropoli, proprio mediante la deposizione di materiali.

A partire dall’epoca arcaica (VI sec. a.C.) si dispone di reperti più cospicui, che permettono una migliore ricostruzione degli aspetti rituali e cultuali nei luoghi ora compresi nel territorio marchigiano. Da questo momento, infatti, cominciano ad essere documentati depositi con doni alla divinità a scopo propiziatorio (votivi) o come ringraziamento per un beneficio ricevuto (ex voto). Costituiti perlopiù da oggetti metallici, soprattutto di bronzo, testimoniano una consapevole intenzione di accumulare beni di valore, veri e propri  tesoretti. Sono proprio questi depositi, o stipi, ad indiziare inequivocabilmente l’esistenza di aree sacre, vere e  proprie zone franche e fulcro territoriale dei gruppi sparsi in diversi villaggi, di norma ubicate in punti nodali: in corrispondenza di passaggi obbligati, come nei casi dei santuari attestati dal deposito di Appennino di Visso o da quello in località Coltone di Cagli; lungo vie di comunicazione, come attesta il rinvenimento di un bronzo a figura umana, noto come kouros di Corinaldo; in punti dai quali era possibile anche il controllo di estese porzioni di territorio, come sembra suggerire l’area sacra identificata alla sommità di Monte Primo di  Pioraco; nei pressi di sorgenti, come documentano i rinvenimenti in contrada Fonte a Montefortino di Arcevia (Ancona Museo Archeologico Nazionale);  in corrispondenza di corsi d’acqua, come nel caso dell’area sacra presso il torrente Tarugo (Museo Vernarecci a Fossombrone); in zone connotate da acque con peculiarità minerali, come esemplificato dal santuario individuato a S. Vittore di Cingoli. 

Tutti i luoghi di culto ricordati finora hanno restituito soprattutto piccoli bronzi antropomorfi, modellati in modo più o meno schematico, raffiguranti sia devoti, che in tal modo significano la volontà di offrirsi alla divinità o di porsi sotto la sua protezione, sia il bestiame per il quale si invocava ugualmente protezione. Non di rado tuttavia tra i bronzi offerti vi sono anche rappresentazioni di  divinità mutuate dal mondo greco e mediate da quello etrusco, che si configura peraltro anche quale area di produzione e di esportazione, ma più spesso elaborate e prodotte localmente. Tra queste un peso notevole hanno le rappresentazioni, solitamente in forme molto semplici, convenzionalmente definite “Marte in assalto” o “combattente”: figure talvolta con elmo, spesso in posizione di attacco, con una gamba avanzata ed un braccio sollevato in procinto di scagliare una lancia. Appartiene alla produzione locale anche il ben noto bronzo raffigurante l’eroe semidivino Ercole, proveniente dalla località Pantiere di Castelbellino, di stile umbro settentrionale ed assegnato al 500 a.C. (ora ad Ancona, Museo Archeologico Nazionale; una copia è nel museo di Jesi). Benché non sia accompagnata da altri oggetti, la statuetta fa comunque supporre l’esistenza di un luogo di culto, di cui proprio l’eroe doveva essere la (o forse una delle) divinità titolare. Rinvenuto fortuitamente presso la sponda dell’Esino, questo bronzo votivo testimonia ancora una volta l’importanza del dato topografico per l’ubicazione delle aree sacre, suggerendo che la scelta sia in qualche modo legata al corso d’acqua. É infatti plausibile che la statuetta provenga da un santuario dedicato alla dea più importante del piceno, oltre che del mondo umbro: Cupra, figura caratterizzata da un aspetto matronale che gli autori antichi, e in particolare il geografo greco Strabone, hanno avvicinato alla greca Era, la regina degli dei, a sua volta identificata con la latina Giunone. La stretta relazione fra Cupra e l’acqua è in effetti accertata: uno dei santuari più importanti dedicati a questa divinità, documentato a partire almeno dal VI sec. a. C., sorgeva in corrispondenza di una zona di passaggio obbligato, fondamentale anche per la transumanza, sulle sponde dell’ampio bacino palustre che occupava in antico l’altopiano di Colfiorito. In area picena il culto di Cupra, seppure celebrato da autori di età romana, non è attestato da resti architettonici, ma il nome della dea sopravvive in quello assunto da due centri marchigiani. Dai pressi di Cupra Marittima proviene anzi un’iscrizione che testimonia un restauro del tempio della dea, oggi non più rintracciabile sul terreno, promosso dall’imperatore Adriano nel 127 d.C. Ciò documenta inequivocabilmente la lunga persistenza di questa devozione, evidenziandone l’importanza ancora in epoca romana.

Come detto alcune figure di divinità e le forme di culto ad esse correlate sono riprese da altri ambienti culturali con i quali intercorrevano evidentemente stretti rapporti. Da Apiro, nell’entroterra marchigiano, provengono due immagini bronzee di divinità realizzate da botteghe etrusche nella seconda metà del V sec. a. C., fra 430 e 400 a. C. Una, ben caratterizzata iconograficamente in procinto di attaccare, è facilmente interpretabile come Athena (la Minerva dei Romani). Nella seconda, assai nota, raffigurante una divinità maschile di dimensioni rilevanti (è alta 40 cm), si tende ormai a riconoscere Zeus, re degli dei. Entrambi i bronzi, conservati a Berlino e a Kansas City, dovevano far parte di un deposito probabilmente più cospicuo, appartenente ad un importante luogo di culto, di cui non resta traccia sul terreno, da dove era possibile controllare agevolmente le valli dell'Esino e del Musone.

Legato all’acqua, di cui probabilmente si tendeva a far risaltare l’aspetto fecondante e salutare, è il notevole complesso cultuale esplorato alla fine del XIX sec. poco a Sud di Pesaro, in località Santa Veneranda, nella zona nota come  “Sotto le Selve”. Il nome del luogo sembra  rendere ragione della definizione con cui è nota l’area sacra fin dalla sua scoperta, lucus pisaurensis, cioè il bosco sacro di Pisaurum, l’antica Pesaro. Questo luogo di culto, che ha restituito una grande quantità di materiali di tipo diverso sia metallici che fittili (Museo Oliveriano a Pesaro), doveva essere già attivo almeno dal IV sec. a. C. Il ritrovamento di blocchi di pietra, recanti in caratteri latini il nome delle diverse divinità – Apollo, Giunone, Libero, Diana, Feronia, Mater Matuta, Salus, Marica (Museo Oliveriano a Pesaro), – per le quali erano stati preparati come offerta o come ringraziamento di un beneficio ricevuto, evidenzia la prosecuzione del culto anche dopo l’arrivo dei romani, che continuano a frequentare il luogo per celebrarvi i culti legati alle proprie divinità.

L’acqua, come elemento salutare e in grado di curare patologie diverse, sembra avere avuto un peso notevole anche per l’ubicazione del complesso santuariale di Monte Rinaldo, edificato fra II-I sec. a.C., su livelli terrazzati, in forme architettonicamente imponenti e piuttosto “scenografiche”, derivate direttamente da modelli greci di poco più antichi. Il santuario, comprendente un porticato (lungo in origine oltre 60 m e del quale sono state rimontate quattro colonne), un tempio ed un edificio di destinazione e funzione ancora non del tutto accertate, attesta efficacemente un fenomeno significativo della romanizzazione del territorio documentata a partire dalla metà del III sec. a. C.: la monumentalizzazione di luoghi di culto preesistenti, in attuazione della politica che Roma promuove in campo religioso. 

In tal senso appare tanto più impressionante ed esplicito il messaggio trasmesso dalla decorazione architettonica in terracotta (resti di un frontone e di un fregio) datata alla metà del II sec. a.C. e recuperata allo scorcio dell’800 a Civitalba di Sassoferrato, appartenente ad un  tempio di cui, però, non sono noti resti strutturali (Museo Archeologico Nazionale di Ancona). Nel frontone sono raffigurate le Nozze di Dioniso ed Arianna accompagnati dal corteggio. Il fregio riproduce guerrieri celti che dopo aver saccheggiato empiamente un tempio sono messi in fuga da divinità, fra cui probabilmente Diana/Artemide e la madre Latona: secondo l’interpretazione più nota e largamente condivisa si tratta del saccheggio del tempio di Apollo a Delfi, compiuto proprio da genti di stirpe celtica (i Galati delle fonti antiche). Entrambi gli episodi narrati testimonierebbero, secondo alcuni studiosi, la volontà  di Roma di proporsi come unico e solo soggetto apportatore e garante dell’ordine.   

Due culti attestati in piena età romana confermano la vocazione marinara del comparto costiero della regione: ad Ancona, alla sommità del colle che svetta prospettando sul mare, al di sotto del duomo intitolato a S. Ciriaco sono stati individuati i resti di un edificio templare datato, non concordemente, al IV o al II sec. a. C., che, come ricordato anche dalle fonti letterarie (Catullo, Giovenale), si ritiene dedicato a Venere, divinità cui non di rado si ricorreva per propiziare una buona  navigazione. Analogamente deve dirsi anche dell’iscrizione recuperata a Gabicce e conservata a Pesaro, che ricorda Iuppiter Serenus: un Giove “regolatore del bel tempo”, condizione quanto mai necessaria ed opportuna per affrontare il mare.

BIBLIOGRAFIA

- E. Percossi Serenelli (a cura di), Museo Archeologico Nazionale delle Marche. Sezione protostorica. I Piceni, Ancona s.d. [ma 1998].

- Piceni. Popolo d’Europa, Catalogo della mostra, Roma 1999.

- A. Naso, I Piceni. Storia e archeologia delle Marche in epoca preromana, Milano 2000.

- E. Percossi Serenelli, Il Museo del territorio di Cupra  Marittima, Pescara 2002.

- M. Salvini, Il Museo Civico Archeologico di Camerino, Pescara 2002.

- M.T. Di Luca (a cura di), Il lucus Pisaurensis, Pesaro 2004.

- G. De Marinis (a cura di), Arte romana  nei musei archeologici delle Marche,  Ancona 2005.

Legenda

Sede museale
Museo Archeologico “A. Vernarecci” - FOSSOMBRONE
 
Museo Archeologico Oliveriano - PESARO
 
Museo Archeologico Nazionale delle Marche - ANCONA


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