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Percorsi tematici > I musei demoetnoantropologici delle Marche

Nati nel corso della seconda metà del Novecento, i musei demoetnoantropologici sono istituti che conservano e valorizzano oggetti di uso comune, i quali documentano vari aspetti della vita di un popolo, ad esempio le relazioni sociali, i comportamenti, gli usi e i costumi, le leggi e le istituzioni politiche, le religioni e le credenze, i modi di produzione e consumo, ecc. 

Il termine stesso “demoetnoantropologico” si compone di più parole (“demo”, dal greco demos, popolo; “etno”, dal greco ethnos, stirpe; “antropo”, dal greco anthropos, uomo), le quali fanno riferimento alle relative discipline (demologia, etnografia e antropologia) che studiano l’uomo dal punto di vista fisico, sociale e culturale.

La nascita dei musei demoetnoantropologici nelle Marche coincide con un momento di profondo mutamento sociale, avvenuto tra gli anni ’50 e ’60 del ‘900, che mette in crisi i vecchi rapporti economici, culturali, relazionali sui quali la società aveva costruito per secoli la propria organizzazione. I cambiamenti in seno all’attività produttiva agricola, come la meccanizzazione dei lavori, comportano l’abbandono di molti attrezzi tradizionali e di oggetti d’uso quotidiano, mentre il boom economico modifica sensibilmente il paesaggio di molte campagne italiane con la nascita di grandi zone industrializzate. È allora che anche nelle Marche, come in tutta Italia, si costituiscono le prime raccolte di oggetti, grazie alla volontà di alcune persone animate dal desiderio di salvaguardare un patrimonio che rischia di essere perduto. Negli anni ’80 l’accelerazione del processo di globalizzazione porta le comunità a riscoprire la cultura locale e a difendere le diversità periferiche e quindi la propria identità. 

Nelle Marche si contano circa 56 musei demoetnoantropologici distribuiti in maniera omogenea tra le province di Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Fermo e Ascoli Piceno. Tra questi se ne contano alcuni che non riguardano specificatamente la cultura locale, ma conservano collezioni di oggetti provenienti da altri paesi del mondo.

Tra le diverse realtà museali demoetnoantropologiche si distingue la rete dei “Musei Partecipati”(www.museipartecipati.net), nata nel 1998 per iniziativa della Comunità Montana dell’Alto e Medio Metauro, che comprende i Comuni di Urbania, Sant’Angelo in Vado e Borgo Pace, le cui raccolte sono state messe in rete. La nascita di questa esperienza ha evitato di accorpare le collezioni etnografiche in pochi grandi musei, al fine di potenziare le risorse culturali locali con l’intento di creare un rapporto tra territorio e museo, preservando non solo l’oggetto, ma anche il contesto al quale quell’oggetto appartiene. Quello dei Musei Partecipati è un itinerario composto da raccolte di cose comuni e di ambienti ove vengono ricostruiti i cicli produttivi e i contesti lavorativi del mondo rurale e artigianale. I musei in rete sono: il Museo della Storia dell’Agricoltura e dell’Artigianato che, allestito nelle cantine del Palazzo Ducale di Urbania, raccoglie gli strumenti più significativi dei cicli del grano, della vite e del vino; il Museo dei Vecchi Mestieri di Sant’Angelo in Vado, collocato nei sotterranei del Palazzo Mercuri, che racconta le antiche attività artigianali attraverso le immagini dei santi protettori dei diversi mestieri; il Museo del Carbonaio di Borgo Pace, che si trova nell’edificio di una conceria dismessa ed espone la documentazione fotografica sulla vita e sul lavoro dei carbonai; la Raccolta di oggetti della civiltà appenninica a Ca’ Sacchia di Borgo Pace e il Museo dei Colori Naturali, ospitato nell’abbazia benedettina di Lamoli di Borgo Pace, che racconta la storia dell’uso dei colori a partire dall’antichità fino al Novecento; il Museum Graphia di Urbino, allestito nell’agriturismo La Corte della Miniera, che espone una collezione di macchine tipografiche attraverso le quali si può ripercorrere la storia della tipografia artistica. Da segnalare, nella provincia di Pesaro Urbino, anche il Museo Civico "Brancaleoni" a Piobbico, situato nell’omonimo castello, diviso in sette sezioni che riguardano non solo le arti e i mestieri del territorio, ma anche l’archeologia, la paleontologia, l’ornitologia e la numismatica; il Museo del Lavoro Contadino di Piandimeleto, nel castello dei Conti Oliva, organizzato per sezioni (il ciclo del grano, l’artigianato rurale, la casa colonica, i grandi attrezzi); il Museo Mulino di Ponte Vecchio nei pressi di Frontino, in un mulino restaurato e trasformato in museo.

Nella provincia di Ancona ci sono diverse realtà demoetnoantropologiche, alcune delle quali toccano l’eccellenza per la singolarità del patrimonio musealizzato, come ad esempio il Museo della Mezzadria “S. Anselmi” a Senigallia, sito nei suggestivi ambienti del Convento delle Grazie, o Utensilia a Morro d’Alba, nei sotterranei del ben conservato Castello dell’antico borgo, o ancora il Museo delle Arti Monastiche di Serra de’ Conti, ove è stata esposta la storia e la vita del locale monastero di clarisse. Tale museo è parimenti singolare per il suo apparato didattico, consistente in un percorso di tipo teatrale. Altri musei sono ugualmente monotematici, come ad esempio il Museo del Biroccio di Filottrano ove sono esposti carri agricoli tipici della campagna marchigiana, nonché attrezzi da lavoro, gioghi intagliati, fotografie, disegni e oggetti d’arredamento.  Il museo è stato istituito nel 1967 nello storico palazzo Beltrami-Lucchetti e la raccolta, che comprende 200 pezzi dal 1888 al 1951, è stata ordinata geograficamente per province e botteghe.

Uno dei più antichi istituti demoetnoantropologici del maceratese è il Museo della Nostra Terra di Pieve Torina, aperto nel 1976 nei locali dell’ex convento cinquecentesco di Sant’Agostino e nella sede distaccata del Mulino ad acqua di Fiume a tre chilometri da Pieve Torina. Nel convento sono ospitati circa settemila oggetti, testimoni della vita agricola e dell’attività artigianale e pastorizia, appartenuti alla comunità di questa zona. La raccolta è ordinata in ambienti che ricostruiscono fedelmente la vita quotidiana: la casa contadina, il granaio, la cantina, la cucina, la camera, la sala della tessitura e un’aula scolastica, gli attrezzi per il lavoro dei campi e gli utensili dei vari artigiani. Diverse fotografie ed alcune diapositive descrivono la lavorazione del pane, l’uccisione del maiale, la vendemmia e la mietitura. Ristrutturato ed annesso al museo negli anni Ottanta, il mulino, le cui strutture risalgono al Settecento, è ancora oggi funzionante con un sistema a pale totalmente autentico. Al suo interno ci sono ancora due macine, una impiegata per il grano tenero e l’altra per il cereale destinato al bestiame. Del medesimo complesso fanno parte il laghetto e due cascate. Il mulino è un vero e proprio museo all’aria aperta, che recupera e valorizza una delle più importanti tradizioni produttive del luogo ed è quindi un esempio di integrazione tra museo e territorio.

Nella provincia di Ascoli Piceno la rete dei Musei Piceni (www.museipiceni.it) annovera in tre casi su quattro (cioè a Montefiore dell’Aso, Ripatransone ed Offida) delle collezioni demoetnoantropologiche che documentano le peculiarità del diversi territori. Il Museo della Tradizione Contadina di  Montefiore dell’Aso, nell’ex convento di S. Francesco, il Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana di Ripatransone, nella cripta della quattrocentesca chiesa di S. Filippo, il Museo delle Tradizioni Popolari di Offida, nel Palazzo De Castellotti, nascono per volontà delle scuole medie locali e grazie alle donazioni fatte dai cittadini di oggetti e attrezzi che riguardano la vita domestica, il lavoro dei campi, i mestieri e la scuola. Gli oggetti sono contestualizzati mediante ricostruzioni di diversi ambienti che distinguono le varie sezioni di ogni museo. Tra tutti il museo di Offida offre però una descrizione molto interessante del ciclo di lavorazione del grano e quello di lavorazione della canapa e del lino per la tessitura. A questo si lega il Museo del Merletto e del Tombolo, sempre all’interno del medesimo palazzo, che testimonia un lavoro artigianale caratteristico della città offidana, ovvero l’arte del merletto a tombolo, che si tramanda di generazione in generazione da cinque secoli tra le donne di Offida.


Legenda

Sede museale
Museo del Biroccio Marchigiano - FILOTTRANO
 
Museo della Cultura Mezzadrile "Utensilia" - MORRO D'ALBA
 
Museo di Storia della Mezzadria “Sergio Anselmi” - SENIGALLIA
 
Museo delle Arti Monastiche "Le stanze del tempo sospeso" - SERRA DE' CONTI
 
Polo Museale di San Francesco - MONTEFIORE DELL'ASO
 
Polo Museale di Palazzo De Castellotti - OFFIDA
 
Museo della Civiltà Contadina e Artigiana - RIPATRANSONE
 
Museo della Nostra Terra e Mulino del fiume - PIEVE TORINA
 
Museo delle cose di ieri. Mostra permanente Museo della Civiltà Contadina Appenninica ed Attrezzi Agricoli - BORGO PACE
 
Museo del Carbonaio – Centro di Educazione ambientale - BORGO PACE
 
Mulino di Ponte Vecchio - FRONTINO
 
Musei del Castello dei Conti Oliva. Museo del Lavoro Contadino Museo di Scienze della Terra - PIANDIMELETO
 
Museo Civico Statale "Brancaleoni" - PIOBBICO
 
Museo Demoantropologico “I vecchi mestieri” - SANT'ANGELO IN VADO
 
Museum Graphia -Museo Internazionale della Stampa - URBINO
 
Museo della Civiltà Contadina dell’Abbazia di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra - TOLENTINO
 
Museo dei Colori Naturali - BORGO PACE
 
Musei di Palazzo Ducale. Museo di storia dell'agricoltura e dell'artigianato - URBANIA


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