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16/11/2000

MUCCA PAZZA. LA SITUAZIONE NELLA REGIONE. I CONTROLLI EVIDENZIANO CHE LA CARNE E' SANA.

“Le Marche sono concretamente impegnate –con controlli accurati, la promozione di tutta la filiera della qualità, la politica dei marchi, la certificazione – a dare il proprio contributo perché sulle tavole dei marchigiani ci siano carni sane e di qualità. Purtroppo dobbiamo rilevare che non esiste una analoga sensibilità del livello comunitario, che non riesce a esprimere indicazioni precise e tempestive come richiederebbe il momento. E’ stato invece solerte nello stabilire norme igienico-sanitarie tali da mettere a repentaglio le produzioni tipiche. Oppure, come dimostra la recente vicenda del voto sulle viti transgeniche, proteso a garantire la difesa di alcuni interessi.” Così il presidente della giunta Vito D’Ambrosio sulla vicenda mucca pazza, che anche nella nostra regione sta creando non poche preoccupazioni. “Per quanto ci riguarda – ha aggiunto – la salute dei cittadini viene al primo posto: questo obiettivo va perseguito con coerenza e non siamo certo spaventati dal fatto che ciò può comportare l’impiego di ulteriori risorse finanziarie.” L’argomento è stato oggetto dell’ultima seduta della giunta regionale e, anche in seguito a una serie di accertamenti, si può affermare che non esistono elementi che giustificano un clima allarmistico. Infatti, la situazione, dal punto di vista veterinario, non desta preoccupazione. I controlli sugli animali hanno evidenziato che la carne è sana, esente da patologie. Innanzitutto - sottolineano i responsabili del servizio Veterinario regionale - nelle Marche prevalgono sistemi di allevamento tradizionali, rispettosi delle esigenze fisiologiche degli animali. Inoltre i bovini che vengono importati dall’estero sono soprattutto bovini di giovane età, quindi sotto la soglia di rischio, perché la malattia della mucca pazza colpisce soggetti adulti, con più di 24 mesi di vita. Infine, la nostra legislazione vieta, per i bovini, l’utilizzo di farine animali. I controlli sanitari, poi, seguono gli animali dalla nascita alla macellazione. Le verifiche vengono effettuate secondo percorsi e modalità stabiliti dalla legge. I bovini vengono anche identificati con un documento (una specie di “passaporto”) che riporta i dati più significativi della bestia. Per quanto riguarda, più specificatamente la Bse, nelle Marche è operativo – da diversi mesi - un piano regionale di sorveglianza epidemiologica del morbo. I bovini vengono sottoposti, con la tecnica della campionatura, a specifiche verifiche, effettuate da ciascuna delle 13 Asl marchigiane. Gli esami sono effettuati su tre categorie di animali: bovini importati, di età superiore a 20 mesi; bovini nati antecedentemente al 1994; bovini che, accidentalmente (nel caso di allevamenti promiscui), potrebbero avere “avuto accesso a mangimi contenenti farine di mammiferi”. Agli animali macellati viene prelevato l’encefalo fresco (midollo allungato compreso), oppure l’intera testa. Questi materiali vengono inviati all’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche per le analisi del caso. I controlli non hanno evidenziato alcun problema. Naturalmente in questo momento l’attenzione è soprattutto concentrata sui controlli, anche se il problema deve essere affrontato in maniera più complessiva, visto che anche nelle Marche si consuma molta carne di importazione. Di seguito si forniscono alcuni dati. Nelle Marche vengono macellati circa 220 mila quintali di carne bovina all’anno: solo il 50 per cento è prodotto completamente nelle Marche (produzione quasi interamente destinata al consumo locale). Il consumo è quasi il doppio di quanto viene macellato. Ciò significa che importiamo circa 200 mila quintali di carne bovina all’anno. L’importazione italiana, e anche quella marchigiana, è soprattutto di provenienza francese. La produzione regionale si è ridotta drasticamente negli ultimi 20 anni: basti pensare che solo dal 1992 ad oggi si sono persi oltre 800 allevamenti (erano 6.538 nel 1992; secondo una stima, ora sono 5.700). La giunta ritiene che occorra lavorare su tre livelli: - La prevenzione. L’utilizzo di farine di ruminanti è vietato in Italia, ma non in tutti i paesi comunitari. - La certificazione. E’ la strada giusta e l’esperienza già avviata con alcune associazioni di prodotto va ulteriormente estesa, perché rappresenta uno strumento di garanzia e informazione per il consumatore. Dal mese di ottobre le rivendite devono indicare dove è stata macellata la carne. L’informazione dovrebbe riguardare anche l’origine dell’animale e dove è stato allevato: provvedimento che sta per essere varato. Anche il lavoro sui disciplinari di produzione va intensificato. - I controlli. Devono ovviamente riguardare tutte le fasi della filiera. Inoltre occorre che i test rapidi (il risultato si ottiene nelle 24 ore) della BSE diventi prassi comune e rientri nella normale profilassi, come avviene, ad esempio per la brucellosi o la tubercolosi. A questo proposito si attende un provvedimento in tal senso del nostro Ministero della Sanità e le Marche sono pronte a partire subito. (r.p.; e.r.)