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19/07/2000

BIOTECH. LE MARCHE DICONO "NO"

Anche la Regione Marche si schiera contro l’introduzione dei cibi transgenici. Una posizione ribadita dall’assessore regionale all’Agricoltura, Luciano Agostini, “a salvaguardia delle produzioni tipiche marchigiane”. “Il dibattito apertosi sugli organismi geneticamente modificati (Ogm) – ha affermato l’assessore - ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica il problema della manipolazione degli alimenti, proprio mentre stanno nuovamente emergendo le preoccupazioni per la diffusione del morbo causato dalla encefalopatia spongiforme bovina (mucca pazza). Una coincidenza ovviamente casuale, che però fa riflettere sulla necessità di vigilare con attenzione sulle tecniche di produzione adottate. La diffusone di un’agricoltura genetica, d’altronde, risponde maggiormente alle esigenze di grossi gruppi industriali, non a quelle di una agricoltura – come la marchigiana – che ha i suoi punti di forza nella qualità e nella tipicità delle derrate. La nostra contrarietà all’introduzione degli Ogm non è, dunque, frutto di un oscurantismo scientifico, ma imposto dall’esigenza di tutelare la salute pubblica e il mondo rurale. Le Marche hanno raggiunto una propria peculiarità anche nel settore primario, che non va dispersa ricorrendo a tecniche che esaltano la sola produzione quantitativa, a scapito delle qualità. Risulterebbe pesantemente compromessa la nostra immagine, la sicurezza dei consumatori, la salvaguardia del nostro patrimonio agricolo, che si è costruito non attorno alle biotecnologie, ma alla genuinità dei sapori locali. Nelle Marche la biodiversità degli alimenti è un fatto acquisto, grazie anche alle politiche regionali che hanno puntato sulla riduzione dei presidi chimici nei processi produttivi. Questo in sintonia con l’evoluzione delle politiche comunitarie che impone una maggiore attenzione all’ambiente e all’agricoltura biologica. Sarebbe ora un errore invertire la tendenza, massificando quanto di buono è stato realizzato. Le Marche dicono, allora, No ai cibi costruiti in laboratorio perché vogliono continuare a produrre quelli tipici e naturali”. (r.p.)